Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

lunedì 2 novembre 2009

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Funerale del Conte di Orgaz, El Greco


Il Credo che recitiamo in ogni domenica e nelle solennità, è frutto della riflessione della Chiesa. Esso è stato formulato, a partire dalle decisioni prese in due Concili Ecumenici, quello di Nicea del 325 e quello di Costantinopoli del 381. Attraverso il Credo o Simbolo (syn –ballo “mettere insieme”), noi cristiani diciamo al mondo cosa crediamo.
A un certo punto affermiamo: “Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo e siede alla destra del Padre” e “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.
Scrive Paolo ai Rm: “E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17). C’è un’eredità splendida da condividere col Signore Gesù: la vita eterna, quando “il velo che copriva la faccia di tutti i popoli” sarà strappato, così che potremo contemplare il volto di Dio; “quando sarà eliminata la morte per sempre”; quando “il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto”.
Sempre Paolo afferma: “Fratelli, la speranza non delude …” (Rm 5,5). La speranza è la sorella inseparabile della fede. Infatti chi ha fede, nel senso che si fida di Dio, non può che essere certo della realizzazione delle sue promesse. La speranza è attesa certa di un qualcosa che tarda a realizzarsi, ma che prima o poi avrà il suo compimento, per questo non delude. Quando abbiamo a che fare con gli uomini, possiamo essere ottimisti, ma quando è Dio che promette, possiamo sperare.
Il due novembre allora per chi ha fede, è il giorno in cui si ravviva la speranza; è il giorno in cui si deve meditare sulla vita e non sulla morte; sull’inizio e non sulla fine.
L’esistenza cristiana è attraversata da tre nascite:
- quella nella carne, quando si compie il mistero della generazione dall’incontro tra un padre e una madre.
- quella nello spirito, nel giorno del Battesimo. I nostri padri rappresentavano bene tutto questo con i segni dell’antico rito, quando entravano nudi nel fonte battesimale (ventre della Chiesa), per poi uscire ed essere rivestiti della tunica bianca – segno della morte della creatura schiava del maligno e della rinascita in Cristo. In Africa, per significare ancora meglio la cosa, il catecumeno veniva steso nella vasca battesimale e immerso nell’acqua;
- quella nella morte. Questo giorno è volgarmente indicato come giorno dei morti, ma la Chiesa lo chiama “Commemorazione di tutti i fedeli defunti”. Qualcuno penserà morti o defunti è la stessa cosa. Se invece facciamo ricorso all’etimologia, ci convinceremo che le cose stanno diversamente. Defunto è un termine latino che è stato cristianizzato come tanti altri e significa “colui che ha svolto la sua funzione”, “che ha finito”. Defunto significa dunque che “ha portato a compimento la sua vita”. Quello che per i non credenti è fine, per noi è compimento, realizzazione, pienezza.
Non dobbiamo dimenticare un’altra etimologia, quella della parola cimitèro, che significa “dormitorio”. I nostri cari non sono finiti, ma dormono, nell’attesa che anche i loro corpi risorgano.
Gesù ci invita oggi a non dimenticare poi, che quando si saranno compiuti i giorni della nostra esistenza terrena, prima di entrare nella “gioia piena e nella dolcezza senza fine”, dovremo presentarci davanti a Dio e, davanti alla sua misericordia, saremo giudicati. Gesù usa un’immagine a noi poco usuale, perché non viviamo più in un mondo di pastori, però il significato è assolutamente evidente. La misericordia divina rispetta la libertà umana, per cui, mentre a tutti è offerta gratuitamente la salvezza, qualcuno può rifiutarla e scegliere la dannazione. Chi; quanti? Questo noi non possiamo saperlo, ma non possiamo nemmeno continuare a dire, negando le parole stesse del Signore, che si può vivere a piacimento, tanto poi il Signore è buono. Siamo troppo abituati ai condoni, alle sanatorie e agli scudi fiscali – che significano: “Fai pure il furbo, tanto qualcuno pagherà per te” -, però scrive san Paolo: “O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?” (Rm 2,4).
Aiutaci, oggi, Signore, a non lasciarci angosciare dalla paura della morte; insegnaci, oggi, Signore, a vivere.

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