Sappiamo che il termine Pasqua significa passaggio e, ogni volta che c’è un passaggio, si lascia una posizione, per acquisirne un’altra. Per esempio, quando si passa dall’adolescenza alla giovinezza, termina una fase della vita e ne comincia un’altra; muore qualcosa, per dar vita a qualcosa di nuovo, seppure in continuità. La Pasqua, quindi, segna necessariamente il passaggio da una condizione a un’altra, da un prima a un dopo. Per l’antico Israele fare Pasqua ha significato lasciare l’Egitto per camminare verso la terra della libertà; per Gesù, invece, “passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1); per noi? Noi siamo stati liberati “come l’uccello dal laccio del cacciatore”; non siamo più ostaggi nelle mani del maligno, del seduttore, del divisore, di colui che spaccia il falso per vero e il brutto per bello. La morte di Gesù ci ha regalato la libertà, perché ha fatto ingoiare al diavolo l’unico veleno che poteva sconfiggerlo: l’amore. La Pasqua non è una chiamata alla sofferenza, ma ad amare, anche a costo di soffrire.
Ascoltando il Vangelo di Emmaus, sono stato attratto da due aspetti che, mi pare mostrino due conseguenze della libertà che ci è stata regalata :
“I loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (Lc 24,16); “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero, ma egli sparì dalla loro vista” (24,31).
“Si fermarono col volto triste” (24,17); “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre conversava con noi lungo la via …?” (24,32).
I due discepoli prima vedono Gesù, ma di fatto non lo riconoscono; invece alla fine, durante la cena, pur non vedendolo più - perché “egli sparì dalla loro vista” -, lo riconoscono. Essi passano quindi dalla cecità alla vista.
L’altro passaggio invece riguarda il loro stato d’animo: dalla tristezza all’ardore.
L’umanità è passata dalla cecità alla vista: “Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1Cor 2,9). A noi sono stati dati occhi diversi, che riescono a vedere ciò che nessuno riconosce, che scrutano con una profondità impressionante le persone e i fatti. Gli occhi del cristiano riescono a riconoscere la vita, anche dove tutti gli altri non vedono che morte e viceversa riconoscono i segni della morte e della decomposizione dove gli altri vedono vita. Lo sguardo del cristiano, quando si lascia illuminare dallo Spirito Santo, vede l’invisibile e comprende l’incomprensibile: “L’uomo lasciato alle sue forze (psichicoi) non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. L’uomo mosso dallo Spirito (pneumatikoi), invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14s). Questa esperienza la facciamo continuamente, infatti, dove molti riconoscono solo pane e vino, noi riconosciamo Cristo; dove tanti vedono un’organizzazione umana, noi ritroviamo il corpo di Cristo, che è la Chiesa; dove si vede la fine di una vita, noi ne riconosciamo la trasformazione, una continuazione in una realtà diversa; dove troppi vedono solo la degradazione di una persona, noi vediamo il capolavoro di Dio, anche se rovinato.
Dobbiamo chiederci allora come mai, noi che siamo passati attraverso la Pasqua, che abbiamo ricevuto in dono “occhi” nuovi, a volte abbiamo uno sguardo che non riesce ad andare oltre ciò che appare; perché vediamo solo quello che vedono tutti?
L’altro grande passaggio è segnato dalla tristezza all’ardore. La comunità cristiana è stata radicalmente trasformata dalla Pasqua: quel gruppo di persone fragili, deluse, impaurite e disperse, diventa vita, forza, passione. Pochi uomini e poche donne – e non certo l’elite socio-culturale della Palestina – riescono in pochi anni a infiammare il mondo conosciuto.
“Al tuo passaggio stilla l’abbondanza” (Salmo 64,12) recita la vecchia traduzione di un salmo; dove il Signore giunge, arriva la vita. Se il Signore ci tocca o meglio, quando ci lasciamo toccare, niente rimane più come prima. Vi confesso che una delle esperienze più belle per me è essere strumento del Signore e contemplare la vita che risorge dove c’era morte. Anche di recente ho avuto il privilegio di vivere questo: è un incanto. So che posso dare l’impressione di spendere belle parole, ma chi ha fatto questa esperienza, sa che dico il vero.
L’episodio di Emmaus ci offre anche alcune indicazioni affinché la Pasqua non passi lasciandoci ancora una volta ciechi, convinti di vedere e persone dal volto triste. Dobbiamo essere in cammino, anche se delusi e affaticati; permettere al Signore Gesù di accostarsi a noi e di accompagnarci come ha fatto con i due discepoli. Due cose hanno aiutato i nostri due amici a “passare”: la parola di Dio e l’Eucaristia. Continuiamo a percorre queste due vie, non lasciamo arrestare. Mi sento di garantirvi che, se faremo concretamente questo cammino, lentamente i nostri occhi cominceranno a vedere ciò che è sempre stato oscuro e i nostri cuori cominceranno ad ardere.
Ascoltando il Vangelo di Emmaus, sono stato attratto da due aspetti che, mi pare mostrino due conseguenze della libertà che ci è stata regalata :
“I loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (Lc 24,16); “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero, ma egli sparì dalla loro vista” (24,31).
“Si fermarono col volto triste” (24,17); “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre conversava con noi lungo la via …?” (24,32).
I due discepoli prima vedono Gesù, ma di fatto non lo riconoscono; invece alla fine, durante la cena, pur non vedendolo più - perché “egli sparì dalla loro vista” -, lo riconoscono. Essi passano quindi dalla cecità alla vista.
L’altro passaggio invece riguarda il loro stato d’animo: dalla tristezza all’ardore.
L’umanità è passata dalla cecità alla vista: “Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1Cor 2,9). A noi sono stati dati occhi diversi, che riescono a vedere ciò che nessuno riconosce, che scrutano con una profondità impressionante le persone e i fatti. Gli occhi del cristiano riescono a riconoscere la vita, anche dove tutti gli altri non vedono che morte e viceversa riconoscono i segni della morte e della decomposizione dove gli altri vedono vita. Lo sguardo del cristiano, quando si lascia illuminare dallo Spirito Santo, vede l’invisibile e comprende l’incomprensibile: “L’uomo lasciato alle sue forze (psichicoi) non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. L’uomo mosso dallo Spirito (pneumatikoi), invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14s). Questa esperienza la facciamo continuamente, infatti, dove molti riconoscono solo pane e vino, noi riconosciamo Cristo; dove tanti vedono un’organizzazione umana, noi ritroviamo il corpo di Cristo, che è la Chiesa; dove si vede la fine di una vita, noi ne riconosciamo la trasformazione, una continuazione in una realtà diversa; dove troppi vedono solo la degradazione di una persona, noi vediamo il capolavoro di Dio, anche se rovinato.
Dobbiamo chiederci allora come mai, noi che siamo passati attraverso la Pasqua, che abbiamo ricevuto in dono “occhi” nuovi, a volte abbiamo uno sguardo che non riesce ad andare oltre ciò che appare; perché vediamo solo quello che vedono tutti?
L’altro grande passaggio è segnato dalla tristezza all’ardore. La comunità cristiana è stata radicalmente trasformata dalla Pasqua: quel gruppo di persone fragili, deluse, impaurite e disperse, diventa vita, forza, passione. Pochi uomini e poche donne – e non certo l’elite socio-culturale della Palestina – riescono in pochi anni a infiammare il mondo conosciuto.
“Al tuo passaggio stilla l’abbondanza” (Salmo 64,12) recita la vecchia traduzione di un salmo; dove il Signore giunge, arriva la vita. Se il Signore ci tocca o meglio, quando ci lasciamo toccare, niente rimane più come prima. Vi confesso che una delle esperienze più belle per me è essere strumento del Signore e contemplare la vita che risorge dove c’era morte. Anche di recente ho avuto il privilegio di vivere questo: è un incanto. So che posso dare l’impressione di spendere belle parole, ma chi ha fatto questa esperienza, sa che dico il vero.
L’episodio di Emmaus ci offre anche alcune indicazioni affinché la Pasqua non passi lasciandoci ancora una volta ciechi, convinti di vedere e persone dal volto triste. Dobbiamo essere in cammino, anche se delusi e affaticati; permettere al Signore Gesù di accostarsi a noi e di accompagnarci come ha fatto con i due discepoli. Due cose hanno aiutato i nostri due amici a “passare”: la parola di Dio e l’Eucaristia. Continuiamo a percorre queste due vie, non lasciamo arrestare. Mi sento di garantirvi che, se faremo concretamente questo cammino, lentamente i nostri occhi cominceranno a vedere ciò che è sempre stato oscuro e i nostri cuori cominceranno ad ardere.
Nessun commento:
Posta un commento