Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 17 aprile 2010

PIETRO, MI AMI PIU' DI COSTORO?

Gesù chiede a Pietro se lo ama più di tutti gli altri; di fatto Pietro dice di no. Gesù gli domanda se lo ama – qui c’è un verbo “pesante”, pieno - e Pietro gli risponde: “no, ti voglio soltanto bene”; Gesù chiede agape e Pietro offre philia.

Giovanni ci comunica che Pietro è rimasto addolorato dalla triplice domanda del Signore: “Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”; in realtà solo una volta gli ha chiesto se gli vuol bene – l’ultima -, perché negli altri due casi ha parlato di amore.

In quel momento Pietro non è capace di far di più e il Signore lo accetta. E’ Gesù che “cede”, si adatta a quel che il suo apostolo può dargli, però è come se gli chiedesse di fare verità, perché questo è il punto di partenza indispensabile in ogni storia con Dio.

A Gesù non interessano le parole, tanto Lui sa se dietro c’è qualcosa o meno, ma a noi serve comprendere se le parole che diciamo a Dio sono “pesanti” o se sono flatus vocis. Quanti: “ti amo sopra ogni cosa”, diciamo, ma è poi vero? Quanti: “sia fatta la tua volontà”, ma è poi vero? Quanti: “Mi pento con tutto il cuore dei miei peccati …”, ma è poi vero?

Gesù non si scandalizza se siamo persone ancora in cammino, con ancora tanta strada da fare con Lui, basta che ne prendiamo coscienza.

E’ indispensabile fare verità e, per fare questo, bisogna lasciarsi guardare da Gesù, bisogna ascoltare le sue domande e poi, sinceramente, rispondere. Chi vive di illusioni spirituali, difficilmente potrà seguire il Signore.

Qui sulla sponda del lago di Tiberiade, Pietro spende solo parole, sappiamo che è ancora un uomo molto fragile, eppure, ci racconta Luca negli Atti, quando il Sommo Sacerdote proibì espressamente agli apostoli di insegnare nel nome di Gesù, Pietro rispose: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29). Ora si che Pietro ama, perché è disponibile a mettere il Signore davanti anche alla propria sicurezza e incolumità; non c’è amore dove non c’è disponibilità a spendere e a spendersi. Direbbe l’apostolo ed evangelista Giovanni: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18).

Chi ama obbedisce e chi obbedisce ama: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,21). Obbedire è un verbo che ci spaventa, ci fa pensare alla mancanza di libertà, di autonomia, invece è proprio un’espressione concreta dell’amore. Innanzitutto perché l’obbedienza nasce dall’ascolto – ob davanti e audire ascoltare – e per obbedire da uomini liberi e non da schiavi, bisogna stare innanzitutto davanti, in relazione. Ascoltare è già amare, perché vuol dire fermarsi e “perdere” tempo per l’altro, è regalare il proprio tempo.

Con Dio l’ascolto è indispensabile – dobbiamo ricominciare a “stare” col Signore, ognuno in proporzione alla propria condizione di vita, ma dobbiamo “stare” -, ma non è sufficiente, dall’ascolto bisogna passare alla vita. Non basta accogliere i comandamenti, bisogna anche osservarli, cioè viverli. Non siamo soli in questa sfida. Se la volontà di Dio ci fosse affidata così com’è, nuda e cruda, potremmo solo compiangerci, perché le nostre forze non sono e non saranno mai adeguate, ma ci è stato regalato lo Spirito Santo, che abita in noi e può rendere possibile, con la nostra collaborazione, ciò che umanamente non è alla nostra portata.

Purtroppo molto spesso noi ci mettiamo davanti alla parola del Signore più da censori che da obbedienti, cioè facciamo selezione, scegliamo tra ciò che va bene e ciò che invece non è opportuno o addirittura ingiusto. E’ una tentazione tutta umana e soprattutto occidentale, ma che nega, di fatto, l’amore e la fiducia in Dio.

Se Pietro e i suoi avessero agito da “censori”, non avrebbero accettato di gettare la rete sul lato destro della barca, non avrebbero pescato una gran quantità di pesci, ma avrebbero continuato a stare nella notte, senza pescare nulla.

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