Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 12 giugno 2010

IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE 2

Dio misericordia da sempre

Tu … ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai create, se avessi odiato qualcosa non l’avresti neppure formata” (Sap 11,24).
Gen (1-11) offre una riflessione sulla nascita e la crescita del peccato, ma soprattutto sulla misericordia di Dio: nel racconto su Caino e Abele il testo si chiude non con una condanna, ma con una sentenza mitigata, dove Dio rifiuta esplicitamente la vendetta: “Ma il Signore gli disse: «chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato” (Gen 4,15).
La narrazione del diluvio si chiude con la decisione divina di non distruggere più il mondo: “Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali mondi e di uccelli mondi e offrì olocausti sull'altare. Il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò: «Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dalla adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto” (Gen 8,20s).
Gen 3 cerca di dare una ragione alla disastrosa situazione in cui si trova l’essere umano.
La prima cosa che emerge dal racconto di Gen, è che l’essere umano è stato creato sano. Solo l’essere umano è dichiarato “a immagine e somiglianza di Dio” e solo a esso Dio affida il compito di “custodire e coltivare Eden”, evidentemente si fidava dell’essere umano, tanto da affidargli le proprie “cose”.
Questo dato diventa maggiormente chiaro se si dà un’occhiata a un antico poema mesopotamico, l’Enuma Elish, nel quale viene descritta la creazione dell’uomo. Difatti l’autore biblico sembra riprendere quel racconto, pur inserendo opportune e decisive correzioni. Secondo Enuma Elish, l’uomo è creato da una serie di terreni; sono argille diverse. Il dio trionfatore sulle altre divinità, il dio creatore, Marduk, prende questa pasta debole, materiale e con essa costruisce la creatura. Anche la Bibbia ripete questo simbolo: “allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7), per indicare la nostra fragilità, la parentela dell’uomo con la materia. Però ecco il salto: la Bibbia introduce un intervento particolare di Dio. Dio alita in questa pasta creata e lascia una sua traccia misteriosa. Invece il dio dell’antico Oriente prende la pasta e la miscela col sangue maledetto del dio Kingu, ucciso dal dio della creazione. La differenza è straordinaria, perché in quest’ultimo caso si dichiara che gli uomini hanno nelle loro arterie un sangue viziato, malato; l’uomo non può che essere portato al male. Secondo la Bibbia invece l’uomo porta in sé qualcosa di divino e quindi è radicalmente sano e buono. Questo è il primo aspetto della misericordia che Dio ci insegna: l’essere umano e ogni essere umano è degno di misericordia, perché è sua creatura e in quanto tale, buona.


Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare” (Salmo 8,4-9).


Non ci soffermiamo su tutto il testo di Gen 3, ma passiamo alla sua conclusione: “L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. Il Signore Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di pelli e le vestì. Il Signore Dio disse allora: «Ecco l'uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell'albero della vita, ne mangi e viva sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita” (Gen 3,20-24).
In questa scena, apparentemente del tutto negativa, due aspetti attirano la nostra attenzione. In primo luogo il v. 20: “e l’uomo chiamò la sua donna Eva (= hawwah dall’ebraico hajah “vivere”), perché ella fu la madre di tutti i viventi”. Nella creazione la donna ha ricevuto doppio nome: prima del peccato è donna (= ishshah) (2,23); dopo il peccato, “vita”. E’ importante che, dopo la frattura con Dio, la nascita della vita, attraverso la coppia, diviene un segno tangibile della misericordia di Dio.
Perché proprio a questo punto, subito dopo l’annunzio della mortalità dell’uomo (“povere tu sei e in povere ritornerai”)? Qui è espressa la speranza dell’uomo, che, nonostante il peccato, egli possa continuare a vivere. Così all’annunzio della morte (v. 19) segue la fiducia nella vita, basata sulla parola divina, basata sulla promessa.

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