Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 19 dicembre 2010

TU ANCORA VIENI NEI NOSTRI CORPI

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (GS 22). Questa è un’affermazione impegnativa, perché dice innanzitutto che l’uomo è un mistero – quindi non pienamente decifrabile – e poi che, ognuno di noi può conoscersi solamente se passa attraverso Cristo. Proviamo a vedere di chiarirci.
Siamo abituati a parlare dell’essere umano e a pensarci come un insieme di elementi. A seconda del punto di vista, questi stessi elementi aumentano o calano. Se chiedete a un ateo, vi dirà che noi non siamo che corpo e mente; se lo chiedete a un credente vi dirà che siamo corpo, mente e anima. A secondo del tipo di fede, poi, il termine “anima”, viene riempito di significati diversi – diverso è ciò che pensa un buddista da un cristiano -.
Tra l’altro, non solo il numero degli “elementi” varia, ma anche il modo di guardarli. C’è chi disprezza il corpo e chi lo idolatra; c’è chi assolutizza la mente – tanto che qualcuno afferma apertmente che, quando non si è più in grado di ragionare si cessa di essere una persona – e chi invece la minimizza; c’è chi considera lo spirituale come centrale a scapito del materiale e viceversa.
Sentiamo cosa ci dice il Concilio Vaticano II: “Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno. ” (GS 14).
Il Figlio di Dio si è incarnato – Giovanni scrive che si è fatto “sarx” carne – non angelo o chissà che cosa d’altro. Noi non siamo un insieme di pezzi, nel quale alcuni sono destinati a essere gettati via, ma una unica realtà, dove ogni parte è essenziale. Un corpo senza anima dà un animale; un’anima senza un corpo dà un angelo, ma non un essere umano.
Il testo di Ez che racconta della visione delle ossa già rinsecchite, che riprendono progressivamente vita, in realtà si riferisce non alla risurrezione della carne, bensì alla ricostituzione del popolo d’Israele; si tratta in definitiva di un’immagine molto bella, per affermare che il popolo esiliato e martoriato, avrebbe ricominciato a vivere in libertà. Alla luce di Cristo, però noi possiamo rileggere quell’antico testo e vedervi quella bella notizia che ci è stata detta: “Tu risorgerai con tutto ciò che sei; non risorgerà un pezzo di te, ma tutto te stesso, perché tu non sei un pezzo, ma un tutto”.
Tutto ciò comporta che già oggi noi viviamo come un tutt’uno; dobbiamo guardarci e riconoscerci come una realtà inscindibile, nella quale, se una delle parti non è considerata e nutrita, soffre o muore il tutto. Lo dicevano già gli antichi “mens sana in corpore sano”, ma non basta, anzi i fatti dimostrano che proprio non è sufficiente un corpo sano per stare bene – quanti infelici sono sanissimi -; non è vero che basta la salute.
La medicina poi ha dimostrato l’esistenza delle malattie psicosomatiche dove la causa del male fisico è da ricercare in una sofferenza psicologica (non sono meno dolorose per questo) – pensate che esiste il fenomeno delle gravidanze isteriche, dove il desiderio folle della maternità fa riprodurre al fisico tutti i sintomi della gestazione -.
Chi ha a che fare con le cose dello spirito sa con certezza che dove non è custodita e curata la dimensione spirituale, a risentirne, prima o poi sarà tutta la persona, anche se è sana e senza problemi particolarmente evidenti.
Quando il Signore ci dice: “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito… Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12,32), non sta dicendo che il corpo non conta niente e che quindi va maltrattato, bensì che non è sufficiente preoccuparsi di esso, perché la persona viva in pienezza. Scrive anche l’apostolo Paolo: “La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra” (Fil 3,19); occuparsi solamente del proprio ventre – immagine della vita materiale con i suoi bisogni primari – porta alla perdizione, non solo nel senso di una dannazione dopo la morte, ma già ora, perché non consente alla persona di vivere in maniera pienamente umana.
Anche in questo senso il Vangelo è “buona notizia”, perché ci fa conoscere la via vera della vita, il modo più grande, più profondo per umanizzarci.
I santi, normalmente, sono persone umanamente più complete.
Gesù ci mostra, chi siamo, in modo che possiamo occuparci di noi stessi nel modo più adeguato, senza sottovalutare niente di ciò che siamo, ma riconoscendogli il giusto valore.
La vita evangelica deve poter toccare tutti gli aspetti di noi, non c'è qualcosa che il Vangelo non coinvolga.



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