Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 29 gennaio 2011

Beati ...

IV DOMENICA T.O.

Sentiamo ancora riecheggiare le parole che Gesù ci ha dette Domenica scorsa: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 4,17); abbiamo ancora negli occhi i gesti dei primi chiamati –Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni -; li rivediamo mentre lasciano le loro cose e si mettono a seguire il Signore. Abbiamo capito che ‘convertirsi’, comporta una trasformazione, un mutamento, ma non abbiamo ancora percepito bene in quale senso.

Ci sediamo allora, insieme alla folla e ai discepoli, per ascoltare le parole di Gesù; gli chiediamo di spiegarci cosa intendeva dire; intuiamo che ci chiederà cose grandi, difficili da comprendere e ancor più da realizzare, ma siamo anche stanchi di accontentarci di una fede che rischia di ridursi a un’ortodossia sterile e a uno spiritualismo disincarnato.
Siamo degli affamati di bene; vogliamo finalmente stare bene, ma non riusciamo a trovare una via adeguata. Ci affanniamo, ci lasciamo condurre da tante voci che ci dicono: “vai di qui” o “vai di là”; “fai questo” o “fai quello”, ma spesso abbiamo la sensazione di “battere l’aria” (1Cor 9,26).
Oggi il Signore ci dice: “Beati (felici) quelli …” (Mt 5,3ss). Non so se ricordate un grande attore di rivista del passato, Erminio Macario, ebbene, il suo cognome – Macario, per l’appunto – significa Beato/Felice. Makarios era già usato nei testi poetici greci per indicare la condizione sia degli dèi sia degli uomini che godono di una fortuna straordinaria. Non possiamo, allora, non drizzare le orecchie ascoltando queste parole.
Gesù dichiara beato chi si impossessa del regno dei cieli; chi erediterà la terra; chi sarà saziato; chi troverà misericordia; chi vedrà Dio; chi sarà chiamato figlio di Dio; chi avrà la ricompensa nei cieli. In tutte queste espressioni viene usato il cosiddetto “passivo divino”, dove Dio stesso è colui che agisce. E’ come se Gesù dicesse: “E’ felice chi da Dio eredita la terra; chi sarà saziato da Dio; chi godrà della misericordia di Dio …”. Pensare che ci vogliono far credere che la felicità dipende solamente dall’essere umano; anzi, Dio, sembra essere addirittura un ostacolo al bene dell’uomo e quindi o lo si elimina o lo si deve lasciare sullo sfondo, impedendogli di avere un ruolo primario nell’esistenza. Conosco gente che è considerata “dissociata”, per il semplice fatto che, grazie a Dio, ha trovato finalmente pace e, quindi, non vive più come prima. Di fatto molto spesso anche noi cadiamo in questa convinzione, anche se inconsapevolmente. Se credessimo veramente che la beatitudine la si trova in Dio, non smetteremmo un istante di cercarLo.
Gesù allora ci dice che la felicità non ce la possiamo costruire da soli, non la possiamo raggiungere senza Dio. Forse è per questo che il nostro mondo è tanto stanco? Che nei negozi si può comprare di tutto, tranne un po’ di benessere solido e duraturo?
Noi vorremmo che la felicità fosse a portata di mano, che non costasse nulla, in fondo così è, però non nel senso che intendiamo noi. La beatitudine è a portata di mano ed è regalata a chi se la lascia donare.
Nelle Beatitudini Gesù ci indica, in qualche modo, come fare per lasciarci raggiungere da questo fiume di grazia. E’ fondamentale soprattutto la prima Beatitudine: “Beati i poveri in spirito …”. Bisogna essere poveri in spirito. Che significa? Chi sono costoro? Sono coloro che nella vita hanno imparato a contare su Dio; che hanno bisogno di Lui – hanno “fame e sete della sua giustizia” -; sono coloro che hanno rinnegato l’autosufficienza e si lasciano fare da Dio, che non discutono a ogni passo, ma si fidano di Lui, anche quando costa fatica.
La povertà di spirito è la consapevolezza profonda di non poter andare da nessuna parte senza il Signore; è non fidarsi di altri che di Lui.
Ora cominciamo anche a capire un po’ meglio cosa significhi convertirsi. Il convertito è necessariamente un povero in spirito. Fin tanto che sceglieremo di fare di testa nostra, andando contro, più o meno consapevolmente al progetto di Dio, dovremo lasciarci dire: “Convertitevi …”.
Per trovare il bene, dobbiamo lasciarci prendere per mano da Dio, affinché ci conduca Lui, anche se la strada può essere impervia.
Le Beatitudini sono profondamente collegate tra loro e, direi che, alcune sono la base su cui si innestano le altre. Infatti chi è povero in spirito e mite – il significato è sostanzialmente lo stesso – non può che avere fame e sete della giustizia di Dio, non può che essere puro di cuore, operatore di pace e misericordioso. Questi infatti sono i frutti che maturano là dove il Signore giunge ed è accolto. Ce lo dimostrano i santi di ogni tempo. Essi non sono altro che persone che hanno riconosciuto la loro radicale non autosufficienza e hanno consentito al Signore di plasmarle. Difficilmente troviamo santi con una vita facile – a volte è addirittura pesante – eppure possiamo riconoscere in loro delle persone beate.
“Aiutaci Signore a non lasciarci ingannare dalle voci che ci conducono lontano da te; che vogliono farci credere che, senza di te noi saremo liberi e felici. Abbatti le nostre barriere, mostraci il tuo volto di Dio fedele, così che potremo lasciarci prendere per mano per andare dove tu vuoi”.

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