Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 5 marzo 2011

Non chi dice ... ma chi fa ...


IX DOMENICA T.O.

     Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole …” (Dt 11,18). “La parola di Dio! E’ un ferro rovente. E tu che l’insegni, tu vorresti afferrarla con le pinze, per paura di bruciarti? Non l’impugneresti a piene mani? Lasciami ridere …” (George Bernanos, Diario di un curato di campagna).

     Credo che nelle ultime settimane abbiamo fatto proprio l’esperienza del fuoco che la parola di Dio porta in sé. Il Signore è riuscito a demolire l’idea povera che avevamo di ciò che significa seguirlo. Ora sappiamo che il Vangelo non è questione di pochi riti stanchi, vissuti senza passione, ma è vita nuova, diversa, capace di trasformare il mondo. Proprio per questo non smettiamo di chiedergli: “Sostienici nella nostra debolezza, perché senza il tuo aiuto tutto ci sembra impossibile”.
     Ora riconosciamo che non è più sufficiente – in realtà non lo è mai stato - ascoltare la parola, perché essa è mandata per penetrare “fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla” (Eb 4,12). La parola di Dio vuole raggiungerci per mettere radici e crescere in noi fino a produrre frutti abbondanti – “la mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10).
     Credo che oggi il Signore scombini ulteriormente le “carte in tavola”, perché abbatte i sicuri confini da noi costruiti. Se noi dividiamo il nostro  mondo tra praticanti e non praticanti, Egli scavalca questa fragile separazione e ci parla di chi fa la volontà di Dio e di chi non la fa.
     Quando il Signore ci chiederà di varcare definitivamente la porta dell’eternità, ci presenteremo davanti a Lui - la Scrittura e la Tradizione ci hanno indicato Dio come Sole che sorge -, dovremo avere tra le mani qualcosa di solido e duraturo, non della “neve”, perché altrimenti essa si “scioglierà” e ci ritroveremo irrimediabilmente a mani vuote.
     Non chi dice: Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli…”; non sarà sufficiente avere avuto il nome di Dio e la sua Parola sulle nostre labbra; non sarà sufficiente avere partecipato a tutte le liturgie, non avere saltato nemmeno una Messa di precetto; aver adempiuto all’obbligo minimo della Confessione annuale; aver partecipato alle catechesi; aver letto o studiato teologia … Tutto questo non supererà la prova del Sole se non sarà stato capace di spingerci a cercare di mettere in pratica con coerenza ciò che il Signore ha chiesto. “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; … Chi … fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (Gc 1,22ss). Ascoltiamo alcune parole molti forti: “Perché vai ripetendo i miei decreti  e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che hai in odio la disciplina e le mie parole ti getti alle spalle? Se vedi un ladro, corri con lui e degli adulteri ti fai compagno. Abbandoni la tua bocca al male e la tua lingua trama inganni. Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre. Hai fatto questo e io dovrei tacere? Forse credevi che io fossi come te! Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa (Salmo 51,16ss).
     Anticamente si pregava per la buona morte – cioè per non essere chiamati da impreparati, senza essere confessati -; i monaci si salutavano, dicendosi: “Ricordati che devi morire”; noi invece tendiamo a negare la morte, a non pensarci, a non parlarne e misuriamo la vita in anni, più è lunga e meglio è - entrare nell’eternità da giovani è considerata una estrema disgrazia -. Ascoltiamo a questo proposito un breve versetto di Sapienza: “Vecchiaia veneranda non è quella longeva, né si misura con il numero degli anni; ma canizie per gli uomini è la saggezza, età senile è una vita senza macchia” (Sap 4,8s). La vita si misura, potremmo dire, in “qualità” e non in quantità. Un’esistenza vissuta con sapienza, vale più di una vita lunga, dice l’autore biblico.
      Vi confesso che questa consapevolezza  è ciò che mi ha dato serenità  quando  è morta mia mamma,  che era ancora relativamente giovane.
     Il Vangelo ci mostra una verità straordinaria: chi edifica la propria esistenza a partire dalla parola di Dio, costruisce un edificio solido, capace di reggere anche gli urti più forti della vita; può vacillare, ma non crolla. Proviamo a pensare alla nostra vita come a una casa; ci si può preoccupare del suo arredamento, della tappezzeria, delle tende ecc …, ma non che le fondamenta siano solide, capaci di resistere al terremoto; che il suo tetto sia tale da impedire la penetrazione dell’acqua e i suoi muri abbastanza solidi da superare lo scorrere del tempo. Molti dati ci dicono che siamo diventati così: case molto belle, ben arredate, ma fragilissime e così,  le fatiche della vita ci lasciano KO.
     La Parola di Dio è la via che può consentirci di vivere con solidità, pur dovendo attraversare come tutti questa “valle oscura”.

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