Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 30 aprile 2011

C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo ...


II DOMENICA DI PASQUA

     “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleopa e Maria di Magdala … e il discepolo che egli amava” (Gv 19,29); gli altri dove sono? Che fine hanno fatto, non dico i discepoli, ma almeno gli apostoli che sono stati con Gesù per tre anni?

     Come sembrano adeguate le parole di Siracide: “C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà i vostri litigi a tuo disonore. C’è l’amico compagno di tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. Nella tua fortuna sarà un altro te stesso e parlerà liberamente con i tuoi servi. Ma se sarai umiliato, si ergerà contro di te e si nasconderà dalla tua presenza” (Sir 6,8ss).
     E’ giunto il tempo della resa dei conti; Gesù potrebbe presentarsi a questo gruppo di traditori per manifestargli trionfante tutta la sua delusione e rinfacciargli la loro umana miseria. Proprio in questo momento il Signore potrebbe cogliere l’occasione per liberarsi di tutta questa gente inadeguata e ripartire solo dai quei tre o quattro che sono rimasti con Lui, che lo hanno veramente amato fino in fondo. Sarebbe stata l’occasione buona per iniziare una Chiesa pulita, sana, solida, con Maria Sommo Pontefice e le varie Marie come sacerdoti degni. Non è andata così. Perché? “Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. ... Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8s). Forse Gesù sapeva che una Chiesa così non sarebbe durata a lungo e che, soprattutto nessuno avrebbe potuto aderirvi. Gesù sapeva bene che così avrebbe fondato una setta e niente più. Per fortuna ha Dio ha voluto una Chiesa dove c’è posto per tutti, anche per quelli che sono in cammino e che hanno bisogno di tanto tempo per combinare qualcosa di buono; per quelli che sanno di essere “tesori in vasi di creta”. Per fortuna ha voluto una Chiesa dove anche io posso stare.
     Gesù si presenta loro e non rinfaccia nulla, vuole  “fare il pane con la farina che ha”;  mostra ai discepoli riuniti, ma impauriti,  i segni della sua passione, così che non abbiano dubbi; dona loro lo Spirito santo – è interessante che il verbo soffiare/enephusesen è lo stesso che è usato in Genesi quando Dio insuffla un respiro di vita nelle narici dell’uomo fatto di terra. Il medesimo Spirito che aveva dato la vita ad Adamo ora ha ridato la vita a Gesù affinché Egli la doni, eterna, a chi voglia riceverla -, perché da soli continuerebbero solo a fare pasticci. Ancora non basta: li manda a essere la Sua presenza nella storia. “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20,21), è come se dicesse: “Ora siete voi che dovete rendermi presente, che dovete continuare a fare ciò che io ho fatto, anzi, io dovrò continuare ad agire nella storia attraverso di voi. Voi sarete me!”.
     Gli affida poi un dono straordinario: “A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23). Non gli affida un potere arbitrario – come dire: “Perdonerete a chi parrà a voi” -, ma la funzione straordinariamente importante di sollevare il peso del peccato dalle spalle degli uomini e delle donne di ogni tempo, veramente desiderose di essere libere per camminare con più leggerezza dietro al Cristo. Il peccato sia in ebraico  (chatta’ha)  che in greco (amartia) indica un fallimento, il non raggiungimento della meta, per cui il perdono ha come fine il ritrovare la strada e la possibilità di percorrerla fino in fondo. Il perdono ha lo scopo di risollevare e non di lasciare a terra chi è caduto.
     Proprio oggi il Signore mostra la forza del perdono; non c’è dubbio che i discepoli fossero dei  falliti, eppure grazie alla fiducia di Dio in poco tempo divennero testimoni credibili; non semplicemente dei diffusori di una dottrina, di parole, di sapienza umana, ma testimoni di un’esperienza, di un incontro.
     La comunità primitiva, che aveva seri problemi come la nostra, era caratterizzata però dall’esagerazione: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere. … Avevano ogni cosa in comune” (At 2,42s); era gente che non si accontentava, perché era stata sedotta da qualcosa di troppo grande.
     Non è importante quello che siamo - non spaventiamoci della nostra mediocrità, a volte così evidente; non spaventiamoci del nostro peccato, a volte tanto difficile di combattere -, ma quello che vogliamo diventare o meglio ciò che possiamo diventare con la piena e libera collaborazione alla grazia.
     Lasciamoci anche noi ricreare dal soffio dello Spirito; rifiutiamoci di rimanere sempre uguali a noi stessi; chiediamo al Signore di non lasciarci attraversare questa Pasqua senza lasciare chi il suo perdono faccia di noi da praticanti a testimoni.      
    

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