Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 10 aprile 2011

Si commosse profondamente … e … scoppiò in pianto

V DOMENICA DI QUARESIMA


Si commosse profondamente … e … scoppiò in pianto” (Gv 11,33s); dalla traduzione italiana non si comprende, ma in greco il verbo che indica questo pianto commosso, dice, piuttosto turbamento e fastidio, irritazione – Gesù forse piange per la mancanza di fede di chi gli è davanti? -, ma non credo che diciamo un’eresia se qui riconosciamo anche le lacrime di un uomo che ha perduto un amico caro. Gesù è vero uomo e con la nostra carne ha condiviso tutto.


Anche quando la fede e la speranza unite e la nostra carità per loro (i nostri defunti) affermano la gioia di saperli in porto, noi restiamo col nostro sangue in rivolta, con la nostra carne scavata, ferita; la nostra carne si sente uccisa anch’essa, con quell’orrore della terra, del buio e del freddo che ha fatto piangere anche Gesù” (M. Delbrel, La gioia di credere). A volte sembra che dobbiamo vergognarci del nostro dolore e delle nostre lacrime, quasi che, in quanto credenti, dovessimo affrontare la morte senza sentire su di noi i suoi morsi. Patire la morte dei nostri cari non è segno di mancanza di fede – per lo meno non necessariamente -, ma della nostra umanità che si sente abbandonata. Chi ama, non è mai contento di vedere partire la persona amata, nemmeno per le regioni di questo mondo, figuriamoci dell’altro.

Ciò che ci sorprende però non sono tanto le lacrime di Gesù – anzi queste ci piacciono, perché ce lo fanno riconoscere come uno di noi -, quanto il fatto che pur potendo partire per tempo e intervenire per salvare Lazzaro, il Signore ha atteso: “Quando sentì che era malato, rimase due giorni nel luogo dove si trovava” (11,6).

Perché?

Perché questo è uno dei segni compiuti da Gesù. Giovanni ci sta dicendo che la malattia e la morte di Lazzaro sono una realtà che rinvia a un’altra realtà, che serve per far capire qualcosa di più. Questo è il settimo segno dopo la trasformazione dell’acqua in vino (2,1-12), la guarigione il figlio del funzionario regio (4,46-54), il risanamento dell’uomo malato da trentotto anni (5,1-9), la moltiplicazione dei pani (6,1-15), il cammino sulle acque (6,16-21), il dono della vista al cieco nato (9,1-41).

Gesù con questi sette segni ha mostrato che in Lui Dio è presente e continua ad agire nella storia per risanare e ridonare vita all’uomo, per saziare la sua fame e la sua sete. Cristo è la risposta alla vita dell’uomo. Con Pietro noi possiamo dire: “Signore, da chi andremo, tu hai parole di vita eterna!”.

Sia Marta che Maria dicono al Signore: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (11,21;32). Noi vorremmo la stessa cosa, ma non è possibile, non siamo immortali. Non basta essere di Cristo per essere garantiti dalla morte. Del resto la Madre del Figlio di Dio è stata lacerata dalla morte, eppure era la Madre Immacolata; e che dire? lo stesso Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo ha dovuto varcare la soglia. La fede non ci garantisce, ma ci permette di guardare la morte con occhi diversi.

C’è un passo di Isaia che afferma: “Non ci sarà più un bimbo che viva pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto” (Is 65,20); va beh, pensiamo pure di arrivare a 150 anni, ma comunque, prima o poi la morte ci raggiungerà. Noi siamo mortali destinati all’eternità. Anche il nostro Lazzaro, seppur risuscitato, ha dovuto poi riattraversare la porta della morte. Lo stesso modo in cui è uscito dal sepolcro – con le mani e i piedi fasciati e il sudario sul volto - dice che la sua è una resurrezione per la morte; ben diversa è la resurrezione di Gesù, della quale non ci sono testimoni, ma del quale furono ritrovate le bende e il sudario ben piegati. Ci attende questa resurrezione.

Gesù è il Signore della vita, per essere più chiaro e non lasciare dubbi, ha aspettato che il cadavere di Lazzaro mandasse già cattivo odore - un testo del 220 d.C. di un certo Bar Qappara afferma: “L’effettivo vigore del lutto è solo al terzo giorno. Per tre giorni l’anima ritorna alla tomba, pensando di tornare nel corpo. Ma se vede che il colore del suo aspetto si è mutato, allora se ne va e lo lascia” -, per cui la promessa che ci viene rinnovata oggi, attraverso la resurrezione di Lazzaro è che anche noi, “non moriremo in eterno”.

Perché Signore ci vuoi ricordare questo? Per non lasciare che la morte vi schiacci e perché, come scrive chiaramente san Paolo “se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti … Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.” (1Cor 15,12ss).







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