Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 31 luglio 2011

Non occorre che vadano, voi stessi date loro da mangiare


XVIII DOMENICA T.O.

     Gesù si ritira in un luogo deserto: perché? Ha forse paura? Vuole meditare sulla sorte di Giovanni il Battista, appena decapitato, e quindi sulla propria? In ogni caso mette da parte le proprie necessità e preoccupazioni per rispondere a quelle della gente. Quella compassione che prova per la moltitudine lo spinge fuori da sé; si dimentica di sé, perché la compassione, quando è autentica, non si limita a una compartecipazione emotiva al dolore e al bisogno dell’altro, ma si trasforma in fatti.
     Gesù ha capito che questa gente lo sta seguendo con tanta passione, perché ha bisogno e non trova nessuno capace di risponderle adeguatamente. Lui è lì per loro.

     Diverso è l’atteggiamento dei discepoli – ancora immaturi -; pur rendendosi conto della necessità di tutte quelle persone, pensano di lasciarle andare affinché da sole rispondano ai propri bisogni.
     Il Signore non si irrita, ma educa: “Non occorre che vadano, voi stessi date loro da mangiare” (Mt 14,15). Sono poche parole, ma che svelano cosa intende il Signore quando istituisce la Chiesa.  Essa è questa realtà nella quale i discepoli donano se stessi a Dio per “sfamare” l’umanità. Non i discepoli da soli – la Chiesa non è un’organizzazione nella quale Dio è un accessorio  -; non Dio da solo – “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani …” -.
     Quale fame deve sfamare la Chiesa? In questi giorni tra le altre notizie ci è stato comunicato che in Somalia migliaia di persone stanno morendo, perché una terribile carestia le sta falcidiando. La Chiesa italiana sta cercando di rispondere inviando una certa quantità di denaro. La Chiesa non dimentica qual è la sua vocazione, eppure non può fermarsi a saziare questa fame. Il ministero della Chiesa non è riempire le pance – per lo meno non solo quello -; qui dovrebbero intervenire gli stati civili, ma probabilmente non ci sono interessi politico-economici da difendere -.
     Ogni giorno chiediamo al Padre di “darci il nostro pane quotidiano”. Cosa intendiamo? Cosa gli chiediamo? “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”  (Gv 6,31ss). Guai se dicessimo che non possiamo chiedere il cibo quotidiano necessario alla sopravvivenza, ma guai se ci fermassimo lì.
     Il Salmista scrive: “L’uomo nella prosperità non dura: è simile alle bestie che non durano” (Salmo 49,13); egli ci mette in guardia dal rischio di accontentarci di riempirci la pancia, dimenticandoci di Dio, l’unico in grado di saziarci profondamente. Il nostro mondo, per fortuna, ha la pancia piena, ma dove viene relegato Dio? Sembriamo non avere bisogno di Lui, tanto siamo autonomi e autosufficienti. Eppure, lo sappiamo bene, siamo sazi, ma ancora affamati. Non è una contraddizione. Dove c’è turbamento e insoddisfazione, è segno che manca qualcosa di essenziale.
     Allora dobbiamo avere la pancia vuota affinché Dio ritorni a vivere tra noi? Sappiamo bene che non è così; la pancia vuota rischia di tenere lontani da Dio – seppure per la ragione contraria -. Chi deve sfamarsi non ha tempo per altro.
     La Chiesa, cioè il corpo di Cristo incarnato nella storia di oggi, ha la responsabilità di non lasciare che ci siano uomini e donne senza il cibo materiale; Dio non vuole che qualcuno abbia la pancia vuota. Attenzione però, essa deve sfamare tutto l’uomo, perché è voluta da Dio per salvare e saziare l’umanità.
     I poteri forti del passato e del presente, di destra e di sinistra, riconoscevano e riconoscono alla Chiesa solo questo compito: riempire le pance, ma non le consentono di salvare l’uomo.
    La Chiesa deve avere sempre  sulle sue labbra le parole del profeta Isaia: “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti” (Is 55,1s). Sarà derisa e inascoltata,  ma non può venire meno a questo suo compito. Come una madre di buon senso non darebbe mai da mangiare al proprio neonato un piatto di spaghetti, così la Chiesa starà sempre attenda a offrire solo il cibo adatto ai suoi figli, anche se poi essi si arrabbieranno con lei.
     Alla Chiesa dobbiamo chiedere innanzitutto Cristo Gesù. Tutto il resto deve venire dopo e conseguenza. La Chiesa deve avere il coraggio di offrire Cristo, è l’unica che ha questo tesoro di valore incalcolabile.

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