Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

venerdì 23 settembre 2011

Il Decalogo 3

III ► «Dio disse a Mosè: Mosè, io posseggo nella mia tesoreria un dono prezioso che si chiama sabato. Voglio regalarlo a Israele».

Così si legge in un antico testo rabbinico. Il giorno festivo è, dunque, un tesoro, è una scintilla di luce deposta nel grigiore delle ore feriali, è un seme che feconda la terra della settimana lavorativa, è uno sguardo rivolto verso l’alto, che interrompe così il ritmo della nostra esistenza quotidiana.
Sappiamo che la formulazione: “Ricordati di santificare la festa” è la sintesi di una più ampia presentazione che la Bibbia fa di questo terzo comandamento. Essa è centrata sul sabato, la festa settimanale ebraica che nella stessa parola richiama sia il numero sette (sheba’) sia il verbo ‘riposare’ (shabat).
È universalmente noto con quanto rigore il giudaismo avesse circondato questo giorno sacro con una siepe di prescrizioni che ne tutelassero l’identità e la separazione dal resto del tempo profano.
Il trattato del Talmud dedicato al sabato elenca ben 39 precetti, trasformando così quel giorno di festa in una sorta di incubo sacrale, al quale reagirà Cristo affermando che «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato».
Ci soffermeremo sulle motivazioni che il Decalogo biblico propone per vivere autenticamente la spiritualità della festa. Si sa che due sono le redazioni dei dieci comandamenti presenti nella Bibbia.
La prima è nel libro dell’ Esodo. In essa si ricorda che tutta la famiglia deve riposare (compresi schiavi e forestieri) «perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno: per questo il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro».
È facile intuire il rimando alla creazione, allorché «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto» (Gn 2,3).
Nel sabato, oasi nel tempo, il fedele deve riscoprire l’armonia del creato e la sua collocazione nell’universo. Egli non domina più le cose con il suo lavoro, ma ne scopre il senso e loda il Creatore, nella consapevolezza di quanto dice il Salmista: «I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne annuncia il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia» (Salmo 19).
Il sapiente biblico ci ammonisce, infatti, che «dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore» (Sapienza 13, 5).
La preghiera ed il culto sono una sorta di canale aperto nell’infinito e nell’eterno di Dio.
Diversa è, invece, la motivazione per celebrare il sabato indicata dall’altra versione del Decalogo, quella offerta dal Dt: «Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato».
Commentava un biblista tedesco: “Ogni sette giorni Israele deve ricordarsi che il suo è un Dio liberatore, il quale pose fine a una dura schiavitù e che continua a ergersi contro tutte quelle potenze che vogliono opprimere il suo popolo”.
In questa luce si comprende il monito dei profeti biblici che bollavano l’osservanza meramente rituale del sabato: il culto senza la vita è magia, la liturgia festiva senza giustizia negli altri giorni feriali corre il rischio di essere una farsa.
È per questo che il Signore grida: «Non posso sopportare delitto e solennità….. Io detesto le vostre feste, le respingo e non gradisco le vostre assemblee…Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (Is 1, 13; Am 5, 21).
È per questo che Cristo non esiterà a guarire malati anche si sabato, compiendo un’azione apparentemente vietata dalle normative giudaiche sul riposo sabbatico. Egli, infatti, riproponeva lo spirito profondo del comandamento divino, che invitava a coniugare festa e libertà, culto e amore per il prossimo, rito e giustizia.
Due sono, quindi, le radici spirituali della celebrazione festiva secondo il Decalogo: da un lato, la contemplazione dell’armonia cosmica alla quale partecipiamo attraverso la nostra opera e la nostra lode; d’altro lato, l’impegno storico della fede che impedisce alla liturgia festiva di essere una sorta di isola sacra, staccata dal resto dell’esistenza, mentre suo compito è quello di essere un seme di libertà, di giustizia e di amore.
In un’altra testimonianza ebraica antica, la Vita di Adamo ed Eva, un’opera apocrifa, si legge: “Il settimo giorno è il segno della risurrezione e del mondo futuro”.
Questa frase diventa ancor più vera per la domenica cristiana, celebrazione della Pasqua di Cristo. È curioso notare che in russo la domenica è espressa con un vocabolo che letteralmente significa ‘risurrezione’ (voskreséné).
Il cristiano nel giorno festivo celebra la risurrezione di Cristo e professa la sua fede nel ‘riposo eterno’ che lo attende, un riposo non inerte ma pieno della vita e della luce in Dio.

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