Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 8 ottobre 2011

XXVIII DOMENICA T.O.

Gesù continua a parlare con franchezza, senza troppi giri di parole; i capi dei sacerdoti, gli anziani del popolo, le guide spirituali d’Israele, si sentono rivolgere parole molto forti, capaci di mettere in crisi – “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio” (Mt 21,31); “A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produrrà i frutti” (21,43) -; a quella parola il Signore attende una risposta. Egli non parla per parlare, ma per aiutare a prendere coscienza di un condizione e provocare una conversione.

Gesù ha parlato di un fico senza frutti, poi di un figlio che dice di andare a lavorare nella vigna, ma poi non vi va, in fine di fittavoli violenti, oggi di una festa di nozze: cambiano le immagini, ma non la sostanza del messaggio: coloro che sono stati chiamati per primi, si autoescludono dal regno di Dio e il loro posto è preso da altri. Non Dio esclude, ma essi scelgono di restare fuori.
Esistono locali di un certo livello – ristoranti o discoteche – dove non si può entrare se non si è vestiti in modo adeguato – pensate che lì ci si adegua, poi magari in chiesa va bene tutto -; all’ingresso c’è chi è preposto alla selezione, per cui semplicemente non si entra.
Qualcuno pensa che il regno di Dio, sia una realtà simile a un club esclusivo: ci puoi entrare solo se corrispondi a certi canoni, altrimenti stai fuori e se per caso riesci a entrare, ci sarà qualcuno che ti caccerà. Nessuno è autorizzato a essere il buttafuori di Dio. Infatti il Re ha inviato i suoi a chiamare tutti, “cattivi e buoni”; così come nel campo di Dio vi è posto per il grano e per la zizzania e nella rete per i pesci buoni e quelli non buoni. La chiamata di Dio è per tutti, non è selettiva. Dio sa che chi è cattivo, malato, inadeguato, se raggiunto e toccato da Lui, può diventare splendido. La storia passata e recente è piena di esempi. Nessuno deve disperare per sé o per gli altri.
Non credo di sbagliare troppo se in quella festa di nozze dove sono presenti buoni e cattivi, riconosco la nostra comunità, la Chiesa Cattolica. Essa è la casa di tutti. L’ho già detto altre volte, solo gli eretici pretendono di appartenere a una realtà per puri. La Chiesa è la comunità voluta da Dio per risanare chi ha bisogno di essere risanato. Se vogliamo essere cattolici, dobbiamo accettare di essere in una comunità santa, per quanto riguarda Dio, ma imperfetta per quanto riguarda noi.
Questo però non deve diventare una scusa; una volta entrati bisogna fare una scelta, non si può stare nella sala vestiti in maniera inadeguata, perché il Signore può farci legare mani e piedi per essere gettati fuori nelle tenebre dove “sarà pianto e stridore di denti”.
Durante la celebrazione del Battesimo uno dei riti esplicativi è la consegna dell’abito bianco – oggi, visto che il Battesimo è soprattutto per i bimbi, il segno è stato molto ridotto -, che vuole significare il rinnovamento radicale della persona. Per comprendere il significato di quel segno, possiamo prendere in prestito le parole di Paolo quando afferma “non vivo più io, ma Cristo vie in me” (Gal 2,20). Una volta che scegliamo di entrare al banchetto delle nozze, dobbiamo lasciare che Cristo prenda progressivamente possesso della nostra esistenza, trasformandoci in Lui. C’è chi preferisce non entrare al banchetto perché ha altro da fare – cosa si perde! -, ma anche noi che siamo coscientemente entrati, a volte rischiamo di stare al banchetto dimenticando lo sposo. Si può essere credenti senza Cristo. E’ il fenomeno dei praticanti, non credenti, che adempiono il precetto, ma non si lasciano sfiorare da Dio.
Il regno di Dio, è qualcosa di bello – riscopriamo la bellezza della fede; non accontentiamoci solo di ciò che è buono. Forse una delle cose di cui abbiamo più bisogno oggi è proprio il recupero della bellezza -. Noi sacerdoti siamo ministri della Bellezza.
Gesù, come anche Isaia, poteva usare molte altre immagini, eppure sceglie una festa di nozze, una delle occasioni più belle per i nostri antichi padri; lì si poteva mangiare e bere in abbondanza, divertirsi per giorni e giorni. Il regno di Dio non è altro che la realtà nella quale Dio è presente, agisce e regna. E’ evidente che la sua pienezza non è di questa parte della storia, dobbiamo attendere il passaggio definitivo, quando tutto sarà trasformato. Dio però regna già oggi; adesso siamo invitati alla festa di nozze.
Signore, tu mi scruti e mi conosci …” affermano le parole di un Salmo; possiamo autoingannarci o ingannare gli altri, ma non Dio. Egli ci conosce in profondità, sa se indossiamo l’abito nuziale o puramente una maschera. Lasciamogli la possibilità di spogliarci e di rivestirci. Chiudo con le parole di Paolo: “Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione … Perciò in questa questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste purché siamo trovati vestiti, non nudi” (2 Cor 5,1s).

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