Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 26 novembre 2011

Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento


I DOMENICA AVVENTO

     “Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento … Fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati” (Mc 13,33). Queste parole, se lette da sole, non tenendo conto di tutto ciò che il Signore ha detto e mostrato di sé e che troviamo nel Nuovo Testamento, potrebbero essere inquietanti. Nel passato gli insegnati cercavano di tenere buoni i bambini, minacciando la venuta del direttore scolastico; nelle dittature sparse per il mondo, i popoli sotto tenuti sotto controllo con la minaccia della comparsa improvvisa della polizia segreta; né noi bambini attendevamo il direttore né i popoli oppressi attendono i militari al soldo del potere politico. Non potremmo nemmeno attendere il Signore se dentro di noi lo vedessimo come l’approssimarsi di un pericolo. Se così fosse, l’Avvento non sarebbe un gran bel tempo.

     Il come si attende, dipende da chi si attende. Aspetto qualcuno dal quale devo difendermi in qualche modo? Farò di tutto per non lasciarmi trovare. Aspetto una persona importante, dalla quale può dipendere il compimento della mia vita? Guarderò continuamente dalla finestra, per non perdere un istante nel momento in cui la vedrò avvicinarsi.
     Entrando nell’Avvento dobbiamo chiederci se stiamo attendendo il “sole che sorge”, “il più bello tra i figli dell’uomo”, “la luce che illumina le tenebre”, oppure un severo giudice che porta con se il carnefice.
     Chi attende quest’ultimo, ha paura, chi attende l’altro non vede l’ora di incontrarlo. Chi ha paura si nasconde; chi attende si muove, va incontro. Nel giardino di Eden Adamo si nasconde all’avvicinarsi di Dio, perché, dice: “Ho udito la tua voce …: ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto” (Gen 3,10), il salmista prega invece dicendo: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne” (Salmo 63,2).
     Un altro fraintendimento che queste parole portano con sé, è l’idea che il Signore se ne sia andato e sia lontano da noi e che tornerà in un tempo lontano. Dov’è finito?
     Gesù stesso ha affermato: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,56) – il verbo menei/rimanere, è molto forte che indica stabilità, permanenza -; Gesù non solo non è altrove, ma addirittura abita in me; “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20); “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40), badiamo bene che non dice: “è come se l’aveste fatto a me”. Il Signore non si è mai allontanato da noi, ha solamente mutato il modo di essere presente. Egli, quindi non è altrove, ma è qui – “sono alla tua porta e busso” – e non tornerà né a Natale né alla fine del mondo, né il giorno della nostra morte, bensì oggi, anzi, adesso e solo se lo accoglieremo oggi, non avremo nulla da temere per il giorno del nostro incontro con Lui, dopo la morte.
     L’Avvento allora è il tempo favorevole per reimparare a riconoscere la presenza concreta di Dio che vuole abitare, non solo con me, ma in me.
     Saprete certamente che il sostantivo Occidènte deriva del verbo latino occidere, che significa “cadere”, mentre Oriènte deriva dal verbo orior e designa il nascere/sorgere.
     E’ evidente il riferimento al sole, che sorge a Oriente e tramonta a Occidente. A partire dal riferimento astronomico, la Chiesa ha usato questi dati simbolici per parlarci di Cristo, Luce del mondo; di Colui che “sorge da un estremo del cielo e  la sua orbita raggiunge l’altro estremo, nulla si sottrae al suo calore” (Salmo 19,7).
     Nell’antica liturgia battesimale – e ancora oggi nel rito bizantino - il riferimento al Sole che sorge era significato efficacemente dal rito. San Cirillo di Gerusalemme, nelle sue catechesi spiega:
“Appena entrati nel vestibolo dell’edificio dove si amministra il battesimo, standovene rivolti in piedi verso Occidente, avete ascoltato l’ordine di stendere la mano e di rinunziare a satana come se fosse presente. … Voglio ora dirvi perché vi siete rivolti a Occidente, è necessario spiegarlo: siccome l’Occidente è la regione materiale delle tenebre, e il demonio è oscurità che domina nelle tenebre, avete guardato a Occidente per rinunziare con gesto simbolico al principe delle tenebre e delle caligini. … Il volgerti dall’Occidente all’Oriente, regione della luce, e della professione di fede”[1].
    Anche l’architettura delle chiese aveva, a tale proposito, un suo riferimento. Scrive Evdokimov: “Un tempio è un rettangolo allungato e volto verso Oriente. … Questo spiega la ragione per cui la preghiera si fa rivolti verso Oriente, poiché ogni fedele attende il ritorno di Cristo. Come un battello (navata, dal latino navis) il tempio sembra fluttuare nella dimensione escatologica facendo rotta verso Oriente”.[2] Questo fatto spiega perché fino al Concilio vaticano II il sacerdote celebrasse l’Eucaristia dando le spalle all’assemblea; in realtà tutto il popolo di Dio, compreso il ministro ordinato, era volto verso Dio e in cammino verso di Lui.
     Noi non siamo persone che hanno paura di te, Signore, noi abbiamo bisogno di te. Tu sei ciò di cui non possiamo più fare a meno.



[1] Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali, XIX, 3-4
[2] P. Evdokimov, Il roveto che arde, Gribaudi, 125

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