Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 19 novembre 2011

Pecore o capri?


CRISTO RE
XXXIV DOMENICA T.O.

     “Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni” (Mt 25,14); “Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dati dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me …” (Gv 17,6); “Dio, nostro salvatore, … vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”  (1Tm 2,3s). Ho lasciato risuonare insieme questi frammenti che vengono da vari libri della Bibbia, affinché possiamo avere sempre più chiaro qual è la volontà di Dio verso ogni essere umano. Il Signore è venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (Gv 10,10). Fino all’ultimo istante della nostra esistenza ci sarà data la possibilità di scegliere la vita e la luce.

     Lodiamo il Signore per questo, perché i nostri ritardi e le nostre lentezze non sono senza speranza. “Carpe diem”, cogli l’attimo, dicevano gli antichi: accogliamo adesso, non domani, l’occasione offertaci da Dio.
     Il Signore ci ha creati senza chiederci il “permesso”, ma non ci salverà senza il nostro assenso, per cui nello stesso istante in cui noi varcheremo la soglia tra questa vita e l’altra, ci incontreremo con il Dio della vita e lì vedremo, senza più veli, come è stata la nostra esistenza e quanto il Signore è riuscito realmente a entrare e abitare in noi. Allora non sarà più possibile mentire e illudersi.
     Nel bellissimo Salmo 50 Dio ci dice: “Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti. … Offri a Dio come sacrificio la lode … Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che … le mie parole te le getti alle spalle?” (Salmo 50,8;14;16). Sono parole chiare, che non ci consentono di cullarci nell’illusione che una certa pratica religiosa sia sufficiente per essere graditi a Dio. Se il culto non produce progressivamente vita evangelica, il Signore non lo gradisce, nemmeno quello del sacerdote.
     Ci rimproverano spesso di non essere coerenti con ciò che celebriamo; sappiamo bene che non è sempre vero e che spesso è una facile  critica, eppure accogliamo questo giudizio, perché ci spinge a non accontentarci, a puntare alla santità con sempre maggior intensità.
     Nella mia carriere scolastica ho dovuto superare una marea di esami - pensate che solo il corso base di teologia ne prevedeva oltre settanta -, non ci si abitua mai; ogni volta non sapere quali domande potranno essere fatte, produce ansia, soprattutto quando si finisce sotto alcuni professori che fanno apposta a tendere tranelli. Quando arriveremo faccia a faccia con il nostro Signore, invece non saremo presi di sorpresa; non ci saranno domande trabocchetto. Noi sappiamo già cosa ci verrà chiesto. Oggi Gesù ci ricorda proprio alcune delle domande fondamentali:
ho avuto fame, ho avuto sete, ero straniero, ero nudo, ero in carcere, ero malato; tu c’eri? Ti sei accorto di me? La compassione ha fatto parte della tua vita? Hai provato a metterti nei miei panni? Ti sei lasciato toccare dalla mia povertà e fatica, oppure hai continuato a vivere tranquillo come se niente fosse? 
     Vedete, le domande che ci vengono poste oggi non riguardano tanto il fare, sappiamo che su questo spesso siamo campioni, ma sull’atteggiamento profondo con il quale agiamo e ci poniamo rispetto a chi ci vive accanto. Sappiamo bene che tante cose buone si possono fare umiliando il destinatario o attendendo sempre un ritorno e guai se non viene. Gesù ci invita a guardare in profondità in noi stessi a individuare le ragioni profonde che ci spingono ad agire o a non agire.
     Non accontentiamoci di una lettura rigida delle parole di Gesù; singolarmente potremmo anche non incontrare chi ha fame e sete di pane e acqua; chi non ha bisogno di vestiti di tessuto; chi è in carcere – anche se oramai tutto ciò è sempre più comune anche nel nostro mondo -; le nostre case, le strade, i luoghi di lavoro, le parrocchie, sono sempre più piene di chi ha fame di essere ascoltato e considerato, di chi è privo di speranza e non sa dove sbattere la testa; di chi è imprigionato nelle proprie paure, nei peccati, nei fantasmi del passato; di chi è straniero, perché non si sente o non riesce più a sostenere il ritmo che la società chiede a tutti e tanto peggio per coloro che non vogliono tenere il passo. Oltre alla povertà che certamente intende Gesù, siamo interpellati da queste nuove miserie, non meno spaventose di quelle. Gesù mi chiede di lasciarmi interpellare da esse.
     Ringraziamo il Signore, perché fa si che moltissimi cristiani – e per fortuna anche tanti non cristiani – gli prestino ogni giorno, in ogni parte del mondo, le loro mani, i loro piedi, la loro bocca, il loro tempo, i loro beni, affinché l’uomo possa essere raggiunto e consolato. Gli chiediamo di aiutarci a essere anche noi di quelli; che ci doni uno sguardo attento e un cuore compassionevole.

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