Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 1 novembre 2011

SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI



     Quando feci il noviziato a La Verna, ricordo che c’era un vecchio frate, Leopoldo, incaricato di fare la guida al santuario. Ha svolto con grande zelo e passione per molti anni questo servizio, ma aveva un limite: ripeteva sempre le stesse identiche parole. Una delle sue frasi ricorrenti era: “Non esiste un santo triste e se esiste è un triste santo”.

     Mi è tornato alla mente questo detto, quando ho visto che il Vangelo scelto per oggi, ci dona le Beatitudini.
     Sappiamo che il termine ebraico qadosh che noi traduciamo, con santo, è riferito a Dio, il Santo per eccellenza e significa separato.  Quando si parla di santità, molti pensano alla perfezione, alla mancanza di peccati, alla carità senza sbavature, a un rapporto con Dio sempre intimissimo. Si tratta di cose adatte a una certa letteratura agiografica, ma che non tengono conto fino in fondo della realtà. Se la santità andasse a braccetto con la perfezione, saremmo nei guai e allora si che si tratterebbe di un ideale molto alto, per pochi eletti, ma non per tutti.
     In realtà i santi non sono persone perfette - di alcuni di loro si  conoscono bene i limiti umani non indifferenti -, ma possiamo dire che sono “Beati”.
     Santità e beatitudine vanno necessariamente insieme, anche se non nei termini che intendiamo noi. A volte pensiamo alla vita cristiana in termini un po’ fantastici, quasi che il rapporto con Dio si potesse raggiungere a un certo punto dell’esistenza e da lì tutto dovesse diventare semplice. Se così fosse, una volta incontrato Dio san Francesco non avrebbe più dovuto tribolare, invece lo troviamo profondamente inquieto  fin quasi alla fine della sua vita.
     Infatti l’incontro con Dio non è che l’inizio di un cammino che, però non può mai arrestarsi, se non con il passaggio da questa vita all’altra, perché l’esistenza cristiana è un continuo lasciarsi trasformare in Cristo Gesù, fin a che si possa dire “non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
     I santi sono beati, non perché vivono sempre in letizia, cantando e parlando con gli uccellini, godendo della quotidiana dolcezza di Dio, ma perché sono entrati nel regno di Dio come cittadini e si lasciano plasmare da Lui; perché il Signore riesce a consolarli nelle loro fatiche; perché sentono che Egli mantiene le sue promesse; perché sono raggiunti dalla misericordia che gli consente di rialzarsi a ogni inevitabile caduta; perché i loro occhi sono così trasparenti che riescono a vedere Dio, anche dove nessuno lo riconosce; perché si sentono figli prediletti, amati in modo particolare – anche se Dio ama tutti i suoi figli -; perché pur essendo colpiti dalle fatiche della vita – a volte in modo tremendo -, non ne sono schiacciati.
     La santità non è tanto il frutto di uno sforzo immane, ma di un grande desiderio, che si trasforma in accoglienza di Dio.
     I santi sono innanzitutto persone accoglienti, perché desiderano ardentemente che Dio le raggiunga e porti con sé i suoi doni. Chissà quante cadute e arresti vi sono anche nella loro vita, ma essi si rialzano, non si arrendono, perché non sono disponibili ad accontentarsi a “spendere denaro per ciò che non è pane, il (loro) guadagno per ciò che  non sazia” (Is 55,2).
     La beatitudine nasce dalla consapevolezza di avere trovato il tesoro nel campo e la perla preziosa, ciò che è in grado di saziare la loro esistenza.
     Da questo incontro trasformante con Dio, poi conseguono le opere di carità, a volte straordinarie, ma non per questo meno faticose e demoralizzanti. I santi sono soprattutto coloro che hanno saputo dare a Dio ciò che è di Dio e, quindi, a Cesare ciò che è di Cesare. Essi hanno capito che per poter essere fecondi e generare vita, bisogna prima essere fecondati.
     Oggi noi ci lasciamo chiamare dai santi riconosciuti e sconosciuti a non accontentarci più di un cristianesimo che non attende Dio, che non accetta provocazioni, che cerca una perfezione angelica e proprio per questo disumana. Essi ci dicono: “Se volete essere beati, spalancate le porte a Cristo. Non preoccupatevi dei frutti da produrre, quelli verranno inevitabilmente. Abbiate solo la preoccupazione di preparare uno spazio ampio nella vostra vita a colui che vuole incarnarsi in voi”. Scrive M. Delbrel: “Il Verbo  vuol farsi carne in noi, impadronirsi di noi, perché con il suo cuore innestato sul nostro, con il suo spirito comunicante col nostro spirito, noi diamo un inizio nuova alla sua vita in un altro luogo, in un altro tempo, in un’altra società umana” (La gioia di credere, p. 30).

1 commento:

  1. sera fra Andrea,
    ho conosciuto fra Leopoldo, ma prima di conoscerlo avevo letto i libri su La Verna. Il giorno che andai a La Verna lui ci fece da guida e mentre lo ascoltavo pensavo "Ma io ste cose le ho già ascoltate, con le medesime parole". Alla fine compresi che la nostra guida era l'autore dei libri che avevo letto..... che ripeteva sempre le stesse cose... a tutti e a memoria, ma con tutto l'amore per Cristo e per S. Francesco.
    Grande fra Leopoldo che oggi sicuramente è tra la moltitudine dei Santi. Grazie fra Andrea di avermi fatto pensare a lui

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