Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 8 dicembre 2011

Cinque domande, una risposta: la carità nella verità. Un'analisi del testo di Joseph Ratzinger sui divorziati risposati 5

Molti affermano che l'atteggiamento della Chiesa nella questione dei fedeli divorziati risposati è unilateralmente normativo e non pastorale.

La quinta ed ultima obiezione critica contro la dottrina e la prassi della Chiesa riguarda alcuni problemi di carattere pastorale. Si reputa eccessivamente legalistico il linguaggio dei documenti ecclesiali, e la durezza della legge prevarrebbe sulla comprensione per situazioni umane drammatiche.
L’uomo moderno, così, non riuscirebbe più a comprendere un simile linguaggio, e mentre la storia sacra racconta di un Gesù disponibile all’ascolto per le necessità di tutti gli uomini (soprattutto per quanti vivono ai margini della società), la Chiesa mostrerebbe un atteggiamento rigoroso e da giudice nei confronti di alcune persone – ferite per alcuni errori commessi – escludendole dai sacramenti o da certi incarichi. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ammette che determinate forme espressive del Magistero ecclesiale risultino, talvolta, di difficile comprensione. “Queste – precisa – devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale. Il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve però essere mantenuto. Non può essere annacquato per supposti motivi pastorali, perché esso trasmette la verità rivelata”. Per quanto riguarda la posizione del Magistero sul problema dei fedeli divorziati risposati, J. Ratzinger sottolinea che “i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verità con quelle della carità”. “Se in passato – conclude il Prefetto del Sant’Uffizio – nella presentazione della verità talvolta la carità forse non risplendeva abbastanza, oggi è invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verità in nome della carità. Certamente la parola della verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso la pace, verso la libertà interiore. Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. «Allora conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32)”.

Nessun commento:

Posta un commento