II DOMENICA AVVENTO
“Consolate,
consolate il mio popolo” (Is
40,1). Nelle ultime settimane ci siamo sentiti
rivolgere appelli a vegliare, oggi invece ci raggiungono parole di conforto: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1); con Gesù c’è
l’evangelo “buona/bella notizia” –
questo termine viene dal greco profano dove indica la comunicazione di una
nascita o di una vittoria -, portata da colui che non è altro che la salvezza
di Dio incarnata.
Domenica scorsa abbiamo detto: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”
(Is 64,1a), ebbene Dio ha proprio scelto di raggiungerci e di rimanere con noi
per condurci con sé. Non ci ha indicata la via da lontano, ma si è fatto nostro
compagno sulla stessa strada.
Il
Vangelo è ciò di cui ogni essere
umano ha bisogno per raggiungere la vera vita. Questa è la buona notizia: non siamo dei disorientati. Noi
conosciamo la via, ma abbiamo bisogno di qualcuno che ci conduca, che ci
affianchi e sostenga quando la fatica diventa eccessiva, che ci protegga quando
veniamo assaliti dai predoni, che ci dia speranza quando la mèta sembra
irraggiungibile. Gesù desidera essere il nostro compagno di viaggio, ma ha
bisogno del nostro assenso. Egli non vuole violare la libertà che ci ha donata
quando ci ha creati. Se con Isaia dicessimo: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontani dalle tue vie e lasci indurire
il nostro cuore …?” (Is 63,17), credo che Gesù ci risponderebbe: “perché siete a mia immagine e somiglianza e
non marionette. Non si può amare, ed essere liberi, che per scelta”.
“Dio … ha sapientemente
disposto che il Nuovo (Testamento) fosse nascosto nell’Antico e l’Antico fosse svelato nel Nuovo” (DV 16).
Oggi vediamo con chiarezza come l’Antico e il Nuovo Testamento sono
indivisibilmente legati, tanto che se manca il primo, si fatica a comprendere
il secondo di cui ne è la preparazione e, se manca quest’ultimo, il primo è
incompiuto e incomprensibile.
Il profeta Isaia grida: “Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada per il nostro Dio” (Is 40,3) e
l’evangelista Marco riprende le stesse identiche parole (Mc 1,3). Là veniva
annunciata la fine dell’esilio a
Babilonia e il ritorno a casa – è un nuovo esodo con Dio a capo del
corteo e un araldo che lo precede per invitare gli abitanti dei villaggi a
rendere più agevole il sentiero su cui i rimpatriati dovranno passare -, qui
viene annunciata la venuta definitiva del Pastore buono.
Sia il profeta che l’evangelista ci
chiedono di preparare la via, perché l’unico modo per riacquistare la libertà,
per tornare a casa, è permettere al
Signore della vita di raggiungerci e accompagnarci. Senza Dio rischiamo
molto seriamente di rimanere prigionieri di altri padroni, lontani da casa. Se
Dio non è il mio Signore, chi è il mio padrone?
Giovanni Battista è la “voce” che grida e
che indica il modo essenziale e mai superato per spianare la strada al Signore:
abbattere il monte e colmare la valle del peccato, attraverso la conversione. Questo
è il passaggio indispensabile affinché il Signore possa raggiungerci
personalmente e portare quella consolazione di cui tutti abbiamo bisogno. Il peccato infatti è la scelta di vivere in
maniera alternativa a Dio. Ogni peccato non è che un dire a Dio: qui decido io,
tu non c’entri. Ci vogliono far credere che il peccato non esiste e, comunque
ognuno deve poter scegliere per sé, se vuole essere libero. Che triste falsità!
Non c’è libertà senza bene.
La conversione non è un’operazione di
volontà, che va a risistemare la nostra esteriorità, ma un radicale cambiamento
interiore. Convertirsi, significa in realtà, lasciarsi trasformare da Dio. E’
il cammino di tutta la vita, non di un momento o di un periodo; è svuotare l’abitazione
interiore da tutto ciò che la ingombra, affinché venga ad abitarvi la Trinità e
da lì guidi l’esistenza.
Voi mi direte che queste sono cose
esagerate, eppure il cristianesimo è questo. La forza travolgente del Vangelo
sta proprio in questa capacità di radicarsi nella vita dei singoli per
germogliare e produrre frutti straordinari. Per questo non riesco a capire
quelli che si dicono soddisfatti della propria mediocrità spirituale: danno il
minimo e sono convinti di avere fatto il massimo. Se guardo me stesso, mi
accorgo con sempre maggior chiarezza di avere ricevuto moltissimo da Dio e di
avergli reso ben poco, ma proprio per questo mi sento vivo. So di non potermi
permettere di fermarmi, di accontentarmi, perché non posso affermare che Cristo
vive pienamente in me e che Egli indirizza pienamente i miei pensieri e il mio
agire.
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