C'era una volta, tanti anni fa, un contadino ignorante che
per la prima volta in vita sua andò a visitare un giardino zoologico. A un
certo punto arrivò al recinto dove si trovava la giraffa. Visibilmente
stizzito, rimirò a lungo l'animale. Infine gli volse le spalle e s'allontanò,
borbottando arrabbiato: un animale così non esiste!
È uno dei più noti e apprezzati scrittori israeliani, Amos Oz,
a inserire
nel suo libro In terra d'Israele questo buffo apologo tradizionale che
ben esprime, sotto il velo della fiaba metaforica, un atteggiamento che non è
certo appannaggio solo di qualche «contadino ignorante».
Un po' tutti, infatti, talvolta nella vita ci siamo fasciati la testa,
come si suol dire, abbiamo chiuso gli occhi e tappato le orecchie per non ammettere
una verità che non coincideva con le nostre ipotesi o supposizioni.
Anzi, non di rado siamo stati pronti a rasentare il ridicolo pur di non
sconfessare una nostra idea.
E non è detto che alla fine l'evidenza trionfa, perché in molti casi una
convinzione personale è talmente forte da accecare.
Ecco, allora, il tentativo patetico di contraffare o di respingere la
realtà pur di salvaguardare la propria granitica certezza.
Un maestro di retorica oratoria com'era il greco Demostene, che ben
conosceva i meccanismi della persuasione, in una delle sue “orazioni” – la
cosiddetta Terza Olintica per la precisione – osservava che «nulla è più
facile dell'illudersi, perché quello che ogni uomo desidera, crede anche che
sia vero».
Rassegnarsi a riconoscere l'errore del proprio convincimento è un'impresa
quasi eroica quando l'orgoglio e l'incrollabile sicurezza si sono radicati
nella mente e nel cuore.
«Una convinzione – ammoniva il critico russo dell'Ottocento Vissarion
Belinskij – ci dev'essere cara perché è vera, non perché è nostra».
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