Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

venerdì 16 dicembre 2011

Lettera di fra Gianni Gattei dalla Papua Nuova Guinea

Gianni è un mio confratello riminese che, da alcuni anni vive appassionatamente in Papa Nuova Guinea. Vi suggerisco la lettura di questa bella lettera, può essere una buona riflessione per il Santo Natale. 

***

Papua Nuova Guinea

Non c'era posto nell'albergo...

Ciao a tutti,
scusate il silenzio, ma sono stato fuori varie settimane e tuttora lo sono, ma in un posto più tranquillo da cui posso scrivere. Sto facendo il giro nelle provincie della Papua Nuova Guinea sulle Highlands, poi giù a Lae, città industriale, ed ora a Rabaul, patria dell’unico Beato della Papua, Peter To Rot, catechista e padre di famiglia. Sono ai piedi del vulcano che qualche anno fa ha distrutto la città, città ora ricostruita in nuovo loco, a qualche chilometro dal vulcano.

Per una settimana sulle Highlands ho visitato alcune famiglie dei giovani orientati ad abbracciare la vita francescana e tenuto un ritiro per tutti nel fine settimana. Come sempre muoversi qua è un travaglio: camion, nave, pulmino, ogni giorno un posto diverso, clima diverso, cibo totalmente diverso. Salire sui monti delle Highlands mi fa ricordare il clima italiano di inizio primavera, soleggiato, ma ancora freddo, specialmente la notte. Il terreno e il clima fanno crescere tantissime verdure come da noi in Italia, cose che ci sogniamo ad Aitape. Le strade per arrivare su sono abbastanza buone anche se imprevedibili per i continui smottamenti. Succedono tantissimi incidenti su quella strada e la sera è molto pericolosa per via dei briganti. Ma la gente è molto laboriosa e generosa, grazie anche al clima. Ogni volta che visitavo una famiglia dei giovani candidati sentivo una gioia immensa in tutti. I familiari erano sempre tutti radunati e pieni di domande sul futuro del loro figlio. Tante lacrime, e un grande onore per loro avermi nelle loro capanne. Mi venivano in mente sempre i miei inizi, e i miei genitori; speriamo che questi giovani rispondano sempre con generosità alla loro chiamata.
Dopo una settimana siamo scesi sulla costa, un viaggio di 13 ore, con soste, in bus e macchina. Siamo arrivati vicino a Lae e ci hanno informato che la situazione in città era poco bella. Quindi la notte ci siamo fermati alla periferia della città dai fratelli del Sacro Cuore, che seguono i criminali minorenni. Lettuccio molto povero, e l’umido della pianura padana. Dopo il fresco delle Highlands un bel colpo! Al mattino una tanta desiderata messa (ne hanno una al mese se va bene) davvero vissuta. Cos’era successo a Lae? Più di 3.000 giovani erano entrati in città e avevano dimostrato contro i venditori ambulanti che vengono dalle Highlands che, a quanto pare, hanno importato una microcriminalità in città (furti, scippi, stupri, etc.); siccome il sindaco non faceva niente i giovani indigeni si sono arrabbiati ed oltre a cacciare tutti questi venditori ambulanti, hanno distrutto le loro case, i loro negozi e anche i negozi cinesi che pare vendessero la loro merce. Ci sono stati 9 morti per ora e l’epicentro del tutto è stato proprio nella zona dove mi sono fermato in questi ultimi tre giorni a Lae. Ma al momento la situazione si è calmata, i residenti hanno chiesto al governo tante cose per migliorare la situazione e si aspetta di vedere cosa succederà. Qualche anno fa avevano ucciso anche due sacerdoti anziani.
Lae è un po’ come Betlemme, il centro dove si incrociano persone provenienti da varie regioni, molto differenti nei loro modi di vita. Quello che la popolazione di Lae ha proclamato ad alta voce e col sangue è: “Non c’è posto per voi che venite da altre regioni, tornatevene a casa! Non c’è posto per voi, anche se “l’albergo” è libero”. Suona molto male, perché se venite qua subito salta agli occhi la sconfinata vallata su cui Lae è costruita, una pianura per lo più incolta, con montagne selvagge all'orizzonte. Un “albergo” donato da Dio, con molte “stanze”, ma piccolo per il cuore dell’uomo, mai sazio e sempre più padrone di ciò che non è suo. Capisco la rabbia dei cittadini locali che stanno assistendo alla crescita di popolazione e quindi anche di crimini, come sempre succede. Ma il modo in cui hanno agito è totalmente sbagliato; pensate che hanno ammazzato un padre davanti a sua figlia piccola. Gente tranquilla che vendeva qualcosina per portare avanti la famiglia; se andate sulle Highlands vi accorgerete che tutti dai 5 ai 70 anni vendono qualcosa per la strada per mangiare. È stata un'azione insensata, andata avanti per tre giorni. Non sono stati i famosi Kanaka della Papua Nuova Guinea, primitivi come sono chiamati, a fare tutto ciò; ma gente che ha una buona educazione, che lavora, possiede terra e vive la fede cristiana in modo bigotto. Lae è infatti una città piena di chiese enormi di ogni genere: Luterani, Anglicani, Cattolici, Battisti e tante chiese evangeliche e sette locali. Predicano Gesù Cristo nelle loro chiese, ma appena usciti fuori, per le strade, nell’“albergo del loro cuore” non c’è posto per il fratello connazionale, celebrano il Signore Gesù, da loro chiamato BIG BROTHER (grande fratello), che fa i miracoli, guarisce, converte, ma che fuori dalla chiesa cambia volto e non lo si riconosce.
Quando ero piccolo e costruivo il presepio mettevo dentro di tutto, specialmente animali che non c’erano in Palestina, poi le casette, le lucine, la donnina con la brocca, il falegname, l’arrotino, il calzolaio e infine la grotta con la Santa Famiglia, Gesù, Giuseppe, Maria, l’asino e il bue; mi veniva la pelle d’oca al buio davanti al presepe. Non avevo mai pensato all’albergo, di raffigurarlo nel presepe. Mi piaceva che Gesù nascesse nella grotta, tra il muschio e le pecore, e il calore dell’alito degli animali. Se lo dovessi rifare oggi il presepe, quell’albergo lo metterei, ma vuoto, senza luci. Non è forse così il nostro cuore davanti a Dio che si fa carne? La nostra fede è diventata come un presepe, irreale, piena di emozioni passeggere e da fare e rifare. Vogliamo il Gesù che ci pare, lo vogliamo povero, al freddo e al gelo; ma quando le statuine diventano persone vere, quando quel Gesù diventa il nostro vicino, non ci emozioniamo più, lo rigettiamo, e contempliamo di nuovo le statuine per dimenticare la realtà di Gesù Emmanuele, Dio con noi.
E l’albergo? Anche quello è meglio non metterlo, ci farebbe ricordare chi siamo.
Direte: ma che brutto Natale! Beh, il Natale di Gesù non è stato proprio bello e piacevole, lì per lì, per Giuseppe e Maria; chi l’ha fatto diventare piacevole sono stati i pastori, gli angeli e i Re Magi, gente povera, alcuni che venivano da lontano, persone insomma. Quello che può rafforzare la nostra fede non sono le “statuine” ma le persone che incontriamo e che accogliamo nella nostra vita. Quando apriamo le porte del nostro cuore a tutti, sì che allora ce lo possiamo rimettere l’albergo nel presepe, e con dentro la Santa Famiglia!
Buon Natale a tutti e grazie a tutti voi, benefattori e collaboratori, che aprite sempre le porte del vostro “albergo” ai più poveri.

fr. Gianni Gattei

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