Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 18 febbraio 2012

Ecco, io faccio una cosa nuova



VII DOMENICA T.O.

     Quando si parla di persone alienate, si fa riferimento a qualcuno che si ritiene, se così possiamo esprimerci, fuori di testa. L’alienato è nell’immaginario comune, un folle. In realtà si può essere “normali”, eppure alienati; basta non  vivere la realtà, perché è continuamente rivolti al passato.
     C’è chi continua a rimanere legato a ciò che era e che non è più – quand’ero giovane; quando vivevo nel tal luogo; quando c’era la tal persona e la tal’altra … ah, allora si che vivevo bene, non ora … -; c’è invece chi in una dolorosa autopunizione si lascia incatenare dal peccato compiuto nel passato più o meno recente.  Costoro sono paragonabili a quelli che hanno la testa bloccata in una innaturale e scomoda posizione all’indietro. In questo modo non riescono a vedere adeguatamente dove stanno andando.

     Questi sguardi non sani sul passato, alienano, perché continuano ad aleggiare sul presente come dei fantasmi  e impediscono di guardare e di vivere in pienezza.
     San Paolo nella sua bellissima lettera ai Filippesi scrive: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,12ss). Queste parole ci indicano qual è la vita del cristiano. Noi siamo chiamati a essere persone integrate, dove passato, presente e futuro sono collegati e si arricchiscono a vicenda e non si ostacolano.
     Una profonda conoscenza del proprio passato e una sua lettura con gli occhi della fede, sono indispensabili, affinché il presente sia sano. Possiamo avere una storia di peccato anche molto grave, che ci paralizza – esperienza tipica di chi, con la maturazione umana e spirituale, prende coscienza del male compiuto e dei danni, a volte irreparabili, arrecati a sé e agli altri -; possiamo scegliere di lasciarci tenere legati al nostro lettuccio, piangendoci addosso per il male compiuto, ritenendoci indegni di misericordia,  oppure lasciarci condurre al Cristo, Colui che avrà sempre una parola di perdono per noi; che ci aiuterà a scaricarci dalle spalle il fardello, a volte pesantissimo, di un passato sbagliato.
     Ecco allora che ci raggiungono le parole di Dio e ne comprendiamo il senso profondo: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,18). Che meraviglia! Noi possiamo diventare una “cosa nuova”, una realtà risanata, bella e buona. Noi non siamo destinati a rimanere una macchia indelebile nella storia del mondo. Certo, dovremo portarci via la barella – il ricordo del nostro peccato -, ma non per riaprire continuamente la ferita che il Signore ha rimarginata, bensì per far memoria del male che il peccato ha portato nella nostra storia.
     Il paralitico del racconto evangelico è stato portato da quattro. Il testo italiano parla di quattro uomini, ma in realtà nel testo greco non c’è nessuna specificazione, dice semplicemente: “vengono portando da lui un paralitico sollevato da quattro”. Questo ci aiuta a comprendere il valore simbolico di quel numero. Quattro sono i punti cardinali, che indicano l’umanità intera che può, se lo vuole, essere liberata dalla paralisi del peccato. Nessuno è escluso dalla misericordia divina, se non chi si autoesclude. Il paralitico e i quattro portantini sono la stessa realtà, bloccata, ma nel contempo desiderosa di salvezza. Infatti Gesù perdona i peccati del malato, ma dopo avere riconosciuto la fede dei quattro.
     In costoro noi riconosciamo anche la Chiesa; questo popolo di Dio, ferito e imperfetto, sempre bisogno di conversione, ma scelto dal Signore stesso per salvarlo e per servire da mezzo di salvezza per l’umanità.
     Il maligno è consapevole che la Chiesa è estremamente pericolosa per i suoi piani. Egli sa che, quando l’uomo si lascia portare da Lei, è destinato a sfuggirgli dalle grinfie. E’ per questo che la attacca continuamente, che vuole umiliarla e mostrare al mondo solamente il suo volto sfregiato dal peccato. Noi oggi però gridiamo con forza e con gioia che la Chiesa non è quello! Essa  è il Cristo che vive e salva nella storia e da Essa noi ci vogliamo lasciar condurre.
     Il maligno vuole azzoppare coloro che portano il paralitico, così egli, abbandonato a se stesso, sarà costretto a rimanere bloccato nel male.
     Ti lodiamo Signore, perché ci hai chiamati a far parte della tua Chiesa; perché non ci hai abbandonati a noi stessi; perché non ci togli mai la speranza.
    

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