"Subito gli parlarono di di lei ..."; "Gli portavano tutti i malati e gli indemoniati"; "Si misero sulle sue tracce ...: "Tutti ti cercano!".
Riascoltando queste parole di Marco vedo scorrere davanti agli occhi le
immagini dei milioni di pellegrini che ogni anno vanno a Lourdes, S.
Giovanni Rotondo, Padova, Medjugorie. Moltissimi di questi uomini e
donne hanno in comune con Giobbe l'esperienza del dolore e della
malattia - personale o di qualche persona cara -: "così a me son toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico ... la notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all'alba". Ricordo l'ultima settimana, prima che mia mamma passasse a miglior vita e comprendo bene il senso di queste parole.
Come risultano vere le parole del Salmo: "Nella mia prosperità ho detto: «Nulla mi farà vacillare!». Nella tua bontà, o Signore, mi hai posto su un monte sicuro; ma quando hai nascosto il tuo volto, io sono stato turbato. A te grido, Signore, chiedo aiuto al mio Dio" (29,7ss). Finché tutto sembra filare liscio ci si sente padroni del mondo, poi, quando si entra a contatto col dolore, si fa l'esperienza della fragilità e dell'impotenza.
In quei momenti la fede accende la speranza; Gesù Cristo è cercato come
il medico necessario - qualcuno si rivolge a Sua Madre o a qualche
santo, ma non cambia la sostanza -. Anche noi ci portiamo o conduciamo i
nostri cari davanti alla porta del Signore.
Come ai tempi in cui Gesù era
presente fisicamente, ancora oggi, qualcuno viene guarito, ma la maggior
parte deve portare a termine la salita al Calvario.
Perché?
Credo
che questa risposta sfugga alla ragione umana. Essa fa parte di quel
mistero che, pur non essendo totalmente incomprensibile, sfugge a una
piena comprensione umana. Ci possiamo dare tante risposte parziali, ma
non, una sola capace di calmare gli animi feriti.
E'
certo che Gesù non ha voluto vendere illusioni; ha guarito molti, ma
non tutti. Ha voluto aiutarci a prendere coscienza del fatto che siamo
creature destinate all'eternità, ma fragili. In questa parte della
storia dobbiamo passare necessariamente per la strettoia del limite
umano: "Laudato sii, mio Signore, per sora nostra morte corporale, dalla quale nullo homo vivente potrà mai scappare", cantava san Francesco.
Per
questo il rapporto con Dio non può ridursi alla ricerca di una
garanzia. La vicenda del Figlio di Dio, al quale nulla è stato
risparmiato o di Sua Madre, alla quale non è stato risparmiato il
massimo dolore, ci dice con chiarezza che la fede non è assicurazione
contro le difficoltà della vita. La fede fa guardare il dolore con
occhi diversi, ma non sempre consente di sfuggirne. Essa tiene lontana
la disperazione, ma non il dolore, la stanchezza e lo sconforto.
E' evidente che non sto parlando della fede ragionata; è necessario sentire nel profondo la parola di Gesù che dice: "Non temere, io sono con te"; la Sua mano che tocca e solleva; il Suo sguardo vivo e vero su di sé.
Possiamo e dobbiamo
andare per santuari; dobbiamo pregare, venire in chiesa e accendere i
ceri, ma non tanto o non solo per chiedere il miracolo della guarigione,
bensì per cercare quella voce, quella mano, quello sguardo.
Vorrei
a questo punto dire due sole parole su un sacramento evitato, proprio
perché poco conosciuto: l'unzione degli infermi. La storia ce lo ha
consegnato col titolo di "estrema unzione" e, per questo, tanti, troppi,
pensano che sia da riservare ai moribondi oramai incoscienti. Quale
errore! Esso è stato voluto da Cristo e consegnato alla Chiesa,
certamente per chi è affetto da mali seri, ma non per accompagnare alla
morte, bensì per sostenere nella malattia, ed eventualmente per guarire.
Ascoltiamo le parole della preghiera di benedizione dell'olio
necessario per il sacramento: "O
Dio, Padre
di ogni consolazione, che per mezzo del tuo Figlio hai voluto recare
sollievo alle sofferenze degli infermi, ascolta la preghiera della
nostra fede: manda dal cielo il tuo Spirito Santo Paràclito su
quest'olio che ci viene dal frutto dell'olivo per nutrimento e sollievo
del nostro corpo; effondi la tua santa benedizione, perché
quanti riceveranno l'unzione di quest'olio ottengano conforto nel corpo,
nell'anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni
debolezza, da ogni sofferenza. Sia un olio santo da te benedetto per
noi, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con te
per tutti i secoli dei secoli".
Concludo con le parole che abbiamo dette all'inizio della celebrazione nella preghiera di colletta: " O
Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli
uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti
nelle prove ... illuminati dalla speranza che ci salva".
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