Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 10 marzo 2012

Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile

III DOMENICA DI QUARESIMA

     Siamo talmente abituati a conoscere Gesù  nella sua mitezza che, a  vederlo con in mano una frusta, restiamo impressionati. Se ascoltiamo però le parole del Signore, allora ne comprendiamo la ragione - “Lo zelo per la tua casa mi divorerà” (Gv 2,17) -. Gesù non accetta che il tempio di Gerusalemme, considerata l’abitazione terrena di Dio, sia trasformato in qualcosa di diverso da ciò che deve essere: luogo di incontro tra Dio e l’uomo; nient’altro è ammesso. Non ci si serve di Dio per i propri interessi, ma lo si serve.
     Credo che questo episodio piaccia molto a coloro che vogliono la purificazione della Chiesa; a quelli che, dentro e fuori di Essa, amano additarLa, per sottolinearne ogni sua “ruga”.
     Voi mi direte: “Questo è giusto! Bisogna che la Chiesa si purifichi, per essere santa come il Signore la vuole e, “a mali estremi, estremi rimedi”. Chi si sforza di parlare e di scrivere di continuo contro i mali della Chiesa, pensa di poterla ripore alla purezza delle origini quando tutti, pastori e fedeli, vivevano l’autenticità della fede. Purtroppo “davanti alle montagne che sbarrano il cammino del popolo di Dio c’è chi propone di misurarle con grande cura: altezza, larghezza, profondità, volume. Occupazione ammirevole, lunga e complicata, dopo di che le montagne restano al loro posto …”.[1] Tra l’altro, andando a leggere i testi relativi alla Chiesa priimitiva, vediamo che era già “infettata” dai mali di oggi (divisioni, gelosie, ricerca di potere …), anche se, indubbiamente, la passione e la coerenza erano prevalenti. Non meravigliamoci, questo è il destino di ogni realtà umana: dove c’è l’essere umano c’è luce, ma anche tenebra.
     Attenzione però, perché, quando Gesù parla, dice: convertitevi e credete nel Vangelo e lo dice personalmente e direttamente a ciascuno. Non dice: convertire le istituzioni. La chiamata alla conversione è per me; io devo convertirmi. Scrive il cardinal Biffi: “Ogni giorno … ho bisogno del perdono di Dio. … Proprio questa mia necessità quotidiana di perdono mi toglie ogni desiderio di occuparmi delle trasgressioni dei miei fratelli o delle colpe storiche della Chiesa”.[2]
     Ascoltiamo anche le parole di san Francesco che piace a tutti per la sua radicalità, ma che, vedrete, è troppo cattolico per essere moderno: “Nessun frate predichi contro la forma e le prescrizioni della santa Chiesa” (RnB 17); “Tutti i frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita cattolica e non se ne sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità” (RnB 19); “Il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. … E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri” (Test).
     Qualcuno dirà che sto facendo la difesa della mia categoria, così ancora una volta noi sacerdoti potremo fare quel che ci pare. Tutt’altro. Sto affermando con convinzione che l’unico modo per purificare la Chiesa è lasciare che il Signore converta me. Sono io che devo vivere i Comandamenti; sono io che devo essere trasformato dalla Grazia.
      Quando una persona è gravemente ammalata, non la si cura cambiandole i vestiti, bisogna andare alla radice del problema e trovare la medicina più adeguata.
     E’ là dove ci sono uomini e donne che cercano, come possono, ma con radicalità, di lasciarsi condurre dal Signore per  fare la Sua volontà che la Chiesa si rinnova. Paolo ci indica la cura essenziale per la guarigione: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù” (Fil 3,12). Paolo “corre” perché è stato conquistato da Cristo. Solo per questo può affermare: “ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo” (Fil 3,8).
     I Comandamenti sono preceduti da alcune parole fondamentali di Dio: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile” (Es 20,2); non dice: “Osserva i comandamenti altrimenti ti punirò”, ma, “se riuscirai a riconoscere la mia presenza nella tua storia; se mi sentirai al tuo fianco nell’esistenza quotidiana; se ti sarà evidente che io sono il tuo liberatore, allora tu vivrai  necessariamente i comandamenti, perché chi vive con me, non può più fidarsi di altri che di me, e vedrà le persone, non come dei nemici, ma dei fratelli”.
     Questa è la cura della Chiesa, non ve ne sono altre.


[1] Giacomo Biffi, Quando ridono i cherubini, ESD 18
[2] Ib.85

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