V DOMENICA DI PASQUA
Domenica scorsa Gesù si è presentato a noi
come Buon/Bel Pastore, per questo possiamo dire con le parole del Salmo 23,4: “Anche se vado per una valle oscura, non temo
alcun male, perché tu sei con me”. Oggi invece il Signore parla di sé
usando un’altra immagine: la vite e i tralci.
Fermandoci un attimo a pensare, ci
accorgiamo che il pastore è un’altra realtà rispetto alle pecore; esse, senza di
lui possono essere disorientate, corrono il rischio di essere attaccate dai predatori,
però da sole possono sopravvivere.
Attraverso l’immagine della vite Gesù, ci
dice qualcosa di molto forte e radicalissimo. Non bisogna essere degli agronomi
per sapere che i tralci separati dalla vite non sono che piccoli rami
inutilizzabili. I tralci separati dalla vite, sono destinati al “fallimento”.
Quando il serpente – immagine del maligno
– ha tentato Adamo e la donna, gli ha fatto credere che acquistando l’autonomia
da Dio, da soli, avrebbero realizzato la loro piena maturità. Egli gli ha fatto
credere che per essere pienamente uomini, bisogna essere autonomi da Dio.
Coloro che prima potevano stare “nudi” senza vergogna, finisco per essere
rivestiti di pelli di animali.
Il figlio minore della parabola
del Padre misericordioso – conosciuto come figliol prodigo -, dopo aver subito
la vita in comunione con suo padre, ha scelto di trovare la libertà lontano e,
sappiamo tutti come è andata a finire – ha trovato solo una degradazione della
sua umanità -.
Questi personaggi simboleggiano l’eterna
illusione umana di poter vivere pienamente senza Dio e, l’azione di colui che
fa della divisione la sua opera fondamentale – diavolo da dia ballo = colui che si mette di traverso, il divisore -. Egli fa
di tutto per separare l’essere umano da Dio, perché solo allora può fare di lui
ciò che vuole.
Quando siamo separati da Gesù, anche se
Lui non si separa mai da noi? Certamente quando con un libero atto della
volontà scegliamo di escluderlo dalla nostra esistenza; quando non vogliamo
avere niente a che fare con Lui – credo che da questo punto di vista possiamo
sentirci tranquilli -. C’è però anche un altro atteggiamento più pericoloso,
perché più subdolo ed è quello dal quale dobbiamo guardarci noi credenti e
praticanti: la separazione della fede dalla vita. Quando cioè non permettiamo a
Gesù di condizionare le nostre scelte concrete; quando ci teniamo spazi di
autonomia dove la sua volontà non ha nessuna incidenza. Cadiamo in questo
tranello, quando diciamo: Gesù dice …, ma io dico …; quando risolviamo il
problema del conflitto tra la nostra volontà e la Sua dicendo: io non sono santo; quasi a sott’intendere:
quelle cose lì non sono per me.
In realtà seguire Cristo costituisce il
fondamento essenziale della vita di ogni cristiano, senza distinzione di stato
– non c’è un Vangelo per i religiosi e uno per i laici, ma è lo stesso
straordinario messaggio da vivere con modalità differenti e comunque radicali. Non
si tratta soltanto di ascoltare un insegnamento o di mettere in pratica un comandamento,
ma di qualcosa di molto più radicale: spogliarsi di sé, aderire alla persona
stessa di Gesù, condividere la sua vita e il suo destino. Seguire Cristo è una
realtà che tocca l’essere umano nella sua interiorità più profonda, consentendo
la totale trasformazione di tutto il nostro sentire, giudicare disporre. Essere
discepolo di Gesù significa diventare simile a Lui, rinunciando a tutto ciò che
è contrario al suo Regno.
Come volete che sia possibile questo, se
non circola abbondantemente la vita di Dio in noi? Tutto ciò è frutto della
grazia, della presenza operante dello Spirito Santo in noi. Ecco il frutto che
Dio s’attende da noi.
Mi rendo conto che queste parole possono
sembrare esagerate e, tra l’altro, poco credibili, sulla mia bocca, eppure
questo è il cristianesimo. Dove giunge Cristo, giunge la vita; una vita nuova,
diversa, interessante, più bella, ma indubbiamente più impegnativa.
Grazie che scrivi queste cose... abbiamo sempre bisogno di sentircele dire per imparare sempre più a vivere secondo i Suoi insegnamenti. Troppo spesso ce li dimentichiamo. Gabri
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