Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 14 luglio 2012

Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda


XV DOMENICA T.O.

     Amasia contro Amos. Chi sono costoro? Uno è sacerdote a Betel, l’altro è un pecoraio e contadino, chiamato da Dio a essere Suo profeta.
     Amasia se la prende con il profeta, perché ha avuto il coraggio di dire parole scomode contro il popolo infedele – “hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali ,essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri, e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza, profanando così il mio santo nome” (Am 2,6s) -, contro il culto ufficiale – «Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo!” (5,21ss) -, contro le donne di Samaria – “Ascoltate questa parola, o vacche di Basan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: «Porta qua, beviamo!»  (4,1) -.

     Amasia pur essendo un sacerdote, purtroppo è anche un uomo di corte, abituato, per convenienza a servire il proprio padrone, piuttosto che la verità. Andare contro al suo signore, significherebbe perdere il suo appoggio con i conseguenti vantaggi. Per questo vuole togliersi dai piedi Amos, perché gli sembra assurdo che qualcuno possa dire parole scomode proprio nel santuario ufficiale del regno. Amasia legge la realtà a partire da sé - come quelli che accusano gli altri di particolari comportamenti, solo perché loro stessi ne sono capaci -, per questo accusa Amos di essere in cerca di denaro, di farsi mantenere grazie al ministero profetico. Ecco allora che gli dice: «Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno» (Am 7,12s).
     Amos però sa di non poter tacer, perché non è venuto da sé – fosse dipeso da lui, sarebbe rimasto “comodamente” a fare il pastore -; egli non cerca privilegi, non cerca soldi, Dio l’ha inviato e solo a Lui deve rispondere. Del resto “nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro” (Mt 6,24).
     Noi battezzati siamo tutti chiamati a essere profeti, ossia portatori di una parola che non ci appartiene; una parola ricevuta, alla quale nulla può essere aggiunto e nulla tolto. Siamo servi e non padroni della Parola.
     C’è ancora bisogno di profeti? Eccome! Chiaramente al modo di Amos, cioè liberi, non a servizio di qualche “idolo muto”. Il profeta infatti è come una sentinella posta in alto, sulle mura; essa ha il compito di vegliare giorno e notte, per riconoscere i segni del nemico che avanza per distruggere. Guai se la sentinella si addormenta o non sa decifrare i segni.
     Gesù ha compassione di noi, di un popolo disorientato, che facilmente si lascia condurre da “idoli d’argento e oro, ... Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni
!” (Salmo 113b – 115). Ecco allora il significato dell’invio degli apostoli, i quali devono andare, leggeri, senza troppo condizionamenti, così da evitare di attardarsi a occuparsi dei “mezzi”, perdendo di vista il fine. Bisogna avere i sandali, perché altrimenti il calore e le asperità del terreno rallenterebbero il passo, ma non due tuniche, perché altrimenti ci vorrebbe anche una sacca per contenerla ed essa comincerebbe a pesare. Gesù non disprezza le cose, ma se esse diventano un ostacolo a ciò che conta, allora vi si deve rinunciare. La cosa fondamentale è raggiungere l’essere umano che ha bisogno di vita e di verità, tutto il resto è un mezzo.

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