Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 27 ottobre 2012

Coraggio, alzati!



XXX DOMENICA T.O.

     Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Servire chi? Servire come?

     Abbiamo visto più volte come Gesù è in cammino verso Gerusalemme dove  ha un progetto da realizzare, che non può tardare a portare a compimento, eppure sulla strada è costantemente fermato e rallentato da qualcuno (dall’indemoniato di Gerasa; da Giairo per la figlia morta; dall’emorroissa; da coloro che gli portavano i malati sulle barelle; dal sordomuto; dal cieco di Betsaida; dal padre del ragazzo “posseduto”). Quando gli si presenta l’uomo concreto, in difficoltà, Gesù si ferma. Lui è il Buon Samaritano della parabola, quello che non trova scuse e si ferma a soccorrere il ferito.
     Quelli che stanno con Lui invece, pieni di zelo inopportuno, vorrebbero che nessuno lo ostacolasse; per questo fanno da barriera e bloccano i bambini che gli vengono presentati (Mc 10,14) e il nostro amico cieco di Gerico che incontriamo oggi (10,14).
     Il Signore ha appena detto loro di essere venuto per servire, ma essi non hanno ancora capito.
     Fermarsi è già servire; lasciare momentaneamente da parte sé e le proprie cose, quando è oggettivamente possibile e accogliere l’altro, è già dare la propria vita, affinché l’altro abbia la vita. Non avere nessuno che si fermi, è già morire.
     Leggevo in questi giorni sul quotidiano Avvenire di una giovane Nigeriana, costretta con l’inganno a prostituirsi. Dopo tante violenze e umiliazioni, ha avuto la possibilità di riscattarsi perché un anziano prete, don Oreste Benzi, una sera si è fermato e le ha chiesto, non quanto costi, ma: “Quanto soffri?”.
     Gesù ci indica anche chi servire: colui che incontriamo concretamente sulla nostra strada quotidiana e che ha bisogno del nostro aiuto. A costoro, Gesù mi insegna a donare me, senza aspettare le grandi occasioni di dono estremo della vita, che probabilmente non mi sarà mai richiesto. In ogni caso, se non riesco o non voglio donare la mia vita oggi alle persone concrete che incontro oggi, difficilmente saprò fare il dono massimo di me in un ipotetico domani.
     Fermandosi, Gesù dice, con i fatti, a colui che incontra: “Tu esisti; tu sei importante; io sono con te”.
     Il cieco grida a Gesù abbi pietà di me, usa il verbo greco eleéo. Lo conosciamo per averlo imparato nella formula dell’invocazione “Kiyrie eléison”. Fin dall’antichità questa espressione indica il sentimento della commozione che suscita la vista di un qualche male che colpisce una persona. Si può rendere l’espressione con misericordia, compassione, pietà. Come comprendiamo bene il senso di queste parole, quando stiamo dalla parte di chi le grida; quando noi siamo nel bisogno.
     La misericordia di Gesù non è quella commozione che ci prende quando alla televisione vediamo gli effetti di un disastro naturale, di un attentato, di una guerra, della fame ecc …, ma che una volta cambiato canale abbiamo già dimenticato, ma è una ferita che si apre nella nostra carne e che ci impedisce di andare tranquillamente oltre. La misericordia di Dio e quella che insegna a noi, è sentire il peso della sofferenza dell’altro, tanto da provare l’impellenza di fare qualcosa.
     Scrive Madeleine Delbrel: “Il cristiano deve essere al centro dell’umanità. Il Cristo di cui vive non gli fornisce delle ali perché si libri verso il cielo, ma un peso che lo trascina verso il più profondo della terra. Questa … non è che la conseguenza della nostra cattura a opera del Cristo”.    
     La compassione è molto scomoda, perché toglie il sonno, non lascia tranquilli, ma è uno splendido segno di un’umanità maturata e di una fede che non si accontenta più dei ragionamenti, anche se non  rende capaci di risolvere sempre e comunque i problemi delle persone.
     Scriveva D. Bonoheffer: “Dobbiamo abituarci a essere pronti, se Dio sopraggiunge a interromperci. Dio intralcerà sempre i nostri progetti e il nostro cammino, e lo farà quotidianamente, indirizzando a noi persone che hanno qualcosa da chiedere o da ottenere. A quel punto possiamo andare avanti per la nostra strada, occupandoci di ciò che riteniamo importante … possiamo andare oltre senza vedere il segno della croce … Ma rientra nella scuola dell’umiltà il non risparmiarsi dove si può prestare un servizio, il non governare in modo individualistico il proprio tempo, ma il permettere a Dio di riempirlo” (Vita comune).
     Aiutaci, Signore, a non passare oltre quando un parente, un amico, un conoscente, uno sconosciuto attraversano la nostra strada e, con le parole, ma anche senza, mostrano di avere bisogno di noi. Insegnaci a non essere indifferenti al dolore e alla fatica dell’uomo. Donaci il tuo cuore per amare e le tue mani per toccare; anzi, usa il nostro cuore per amare e le nostre mani per toccare e sanare.

 

1 commento:

  1. Nelle prove della vita, poche persone si sono fermate a chiedermi: quanto soffri?... è più facile tirare dritto che soccorrere, che occuparsi di qualcuno. Però, quei pochi che hanno incrociato la mia strada ,li ho percepiti come la carezza del Signore sulla mia anima ferita. Anna

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