Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

venerdì 9 novembre 2012

Il Signore vede il cuore



XXXII DOMENICA T.O.

     Costoro riceveranno una condanna più severa” (Mc 12,40).
     Chi sono “costoro”?

Sono i fedeli all’apparenza; quelli che hanno i bei segni esteriori della fede, ma che da quella stessa fede non si lasciano scalfire; quelli che amano muoversi sotto gli occhi degli uomini per piacere a loro. Eppure, come scrive M. Delbrel: “La luce del Vangelo non è una illuminazione che ci rimanga esterna: è un fuoco che esige di penetrare in noi per operarvi una devastazione e una trasformazione. Colui che lascia penetrare in sé una sola parola del Signore e che la lascia compiersi dentro la sua vita, conosce il Vangelo più di quelli il cui sforzo resterà meditazione astratta o considerazione storica. Il Vangelo non è fatto per spiriti in cerca di idee. E’ fatto per discepoli che vogliono obbedire. …  Queste parole sono fatte per colpire in noi radici di corruzione di cui non possiamo sospettare la profondità … Non dobbiamo quindi meravigliarci dei cammini interminabili e dolorosi, dei rivolgimenti intimi che ciascuna di quelle parole induce in noi. Non bisogna arrestare questa sorta di caduta della parola al fondo di noi stessi. Ci è necessario il coraggio passivo di lasciarla agire in noi” (Noi delle strade).
     Quando il profeta Samuele fu inviato in cerca di Davide, per consacrarlo Re d’Israele, non riusciva a capacitarsi come fosse stato scelto da Dio per un tale ruolo il più giovane dei figli di Iesse; per questo, al profeta il Signore disse: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. … non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7).
     In questo momento non cadiamo nell’inutile atteggiamento di chi comincia a pensare a Tizio,  Caio o Sempronio; Gesù non parla a me, affinché guardi e giudichi gli altri, ma parla a me, affinché guardi e giudichi me stesso. Potrei essere io quel seguace dell’esteriorità.
     E’ tipico di noi uomini fermarci a una lettura esterna, superficiale della storia e delle persone, ma non di Dio. Per fortuna Lui va in profondità e sa riconoscere in noi i segni di bene, anche quando gli uomini non capiscono nulla di noi, ma altresì non possiamo nascondergli le nostre ipocrisie, infatti “non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto” (Eb 4,13). Egli sa riconoscere lo splendore dell’amore anche sotto le mentite spoglie di segni poveri, ma nel contempo, il vuoto, dietro l’abbondanza.
     Noi ci muoviamo dentro la categorie del “molto”, Dio invece in quella del “tutto”. Se non stiamo attenti, rischiamo di affaticarci e affaticare l’esistenza altrui nella erronea convinzione che Dio voglia molto da noi: molto tempo, molte forze, molta radicalità, molto amore, molti doni, molta penitenza ecc … Quando però facciamo l’esperienza del nostro limite, finiamo per sentirci inadeguati, incoerenti e viviamo male.
     Scriveva molti anni fa un noto moralista che, “pretendere da chi ha ricevuto un talento, tanto quanto chi ne ha ricevuti cinque, è un peccato del quale dovremo rendere conto”. Noi a volte siamo così, pretendiamo non solo dagli altri, ma anche da noi stessi, quello che non siamo in grado di dare.  Dio non fa così. Egli sa quanto possiamo donare di noi, quali sono i nostri limiti e le nostre potenzialità e ci chiede di donare quello, non vuole niente di meno, ma neanche  niente di più.
     Per questo dobbiamo entrare in una relazione sempre più profonda con Dio, in modo da conoscere sempre meglio noi stessi e di conseguenza vivere il Vangelo “facendo il passo in base alla nostra gamba”. Per essere più chiaro, faccio un esempio: la povera vedova, non aveva denaro, se non quelle due inutili monete; avrebbe dovuto sentirsi in colpa per non aver potuto dare di più? Non ne aveva di più e il Signore non glielo avrebbe chiesto.  Se una persona che ha una giornata nella quale il lavoro, la gestione della casa e della famiglia sono decisamente impegnativi e nel contempo sa che pregare è una esigenza fondamentale per ogni credente, deve sentirsi in peccato davanti a Dio, perché invece di fermarsi con Lui un’ora può concedersi solo dieci minuti o un quarto d’ora? Dio non vuole molto, vuole tutto quello che io onestamente posso e sono capace di dare. Il mio quarto d’ora di preghiera, strappato alla mia fatica quotidiana, vale come l’ora che i frati, grazie a un diverso ritmo di vita, possono concedersi.
     Aiutami Signore a non trattener nulla di me; insegnami a donarti tutto ciò che posso e a non dispiacermi quando ciò che ti posso dare è così poco agli occhi del mondo, ma anche a non nascondermi dietro facili scuse, quando mi accontento di offrirti i miei scarti. Manda il tuo Spirito affinché il mio agire, al di là della quantità, sia mosso da un fuoco d’amore per te.

1 commento:

  1. ti dicevo ieri sera...la logica dell'apparire e non dell'essere. Tutti, chi più, chi meno, siamo preda dell'egoismo, tutti vorremmo essere "visibili" o meglio "visti"e questo lo pretenderemmo , spesso, anche dal Signore. Però, se non siamo in grado ,ci sentiamo inadeguati, frustrati,fragili. Ascoltare quello che hai così bene detto, cioè, riuscire a dare il nostro "tutto", (anche se poco e piccolo), può bastare se, dentro ,c'è tutto il nostro cuore, il nostro essere, allora, questa PAROLA è veramente consolante. Anna

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