Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 15 dicembre 2012

Razza di vipere?



III DOMENICA DI AVVENTO

   

     Alle folle che accorrevano da lui … diceva: “Razza di vipere … Dimostrate piuttosto con i fatti che vi siete veramente convertiti e non cominciate a dire tra voi: “Noi abbiamo Abramo come padre” (Lc 3,7ss). Cosa ha fatto infuriare a questo modo Giovanni Battista?

     Probabilmente egli ha riconosciuto che tra quelli che sono accorsi da lui per farsi battezzare, ci sono molti che in realtà vogliono compiere un rito, ma che non intendono lasciarsi toccare da  esso in profondità e cambiare vita. Ci può aiutare a comprendere l’atteggiamento di san Pio da Pietrelcina che,  ogni tanto,  cacciava dal confessionale i penitenti – egli sapeva leggere nei cuori e sapeva riconoscere l’ipocrisia e la mancanza di pentimento -; non voleva essere a servizio dell’apparenza.  Attraverso il profeta Isaia il Signore dice: “Questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani … Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?»” (Is 29,13;15).
     L’altro aspetto che scandalizza il Battista, è l’illusione che basti appartenere formalmente al popolo eletto per essere graditi al Signore. Essi pensano, come si suol dire, di essere “in una botte di ferro”, solo perché sono circoncisi. Al contrario, afferma il Signore Gesù: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12,48).
     Con la sua ruvidezza, però, Giovanni Battista riesce a toccare il cuore di alcuni che non rimangono indifferenti e chiedono: “Abbiamo capito che per Dio non bastano i gesti e i segni esteriori, nemmeno l’appartenenza al popolo eletto, allora “cosa dobbiamo fare?”.
     La risposta non si fa attendere: “Imparate a condividere i vostri beni; non abusate del vostro ruolo e non usate la forza per fare il male, ma per servire, difendere i deboli”.
    Il Battista ragiona da uomo dell’Antico Testamento, infatti “fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui” (Lc 7,28). Giovanni Battista propone certamente delle scelte importantissime, ma non dice come portarle a compimento e con quale forza. E’ come se indicasse una méta altissima, ma lasciasse da soli a raggiungerla.     
     Anche noi spesso ragioniamo nello stesso modo. Bisogna diventare buoni, bisogna cambiare: pensiamo! Come, dico io? Facendo un grande sforzo della volontà? E’ un lavoro sfiancante e con risultati scarsi e incostanti, perché la nostra volontà è troppo condizionata dal carattere, dalla stanchezza inevitabile, dal tempo meteorologico, … basta poco per vedere crollare ogni progresso fatto. Non dimentichiamo poi che in alcuni casi la volontà è radicalmente insufficiente. Posso impormi di amare qualcuno; perdonare di cuore; avere speranza e non soccombere sotto il peso delle paure; amare Dio con tutto il mio essere …?
     Per fortuna  il Battista afferma: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,15). Giovanni Battista è un punto di passaggio, non di arrivo. Egli stesso afferma di sé, di fronte ai dubbi del popolo se egli sia il Messia: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali (Lc 3,16).
     Gesù non chiede uno sforzo titanico, ma offre un dono tanto semplice quanto potente: il Battesimo di Spirito e fuoco. Quando lo Spirito santo, donato con il Battesimo, riesce a operare nel profondo di una persona, bruciando tutto ciò che si oppone a Dio, allora anche la vita con le sue manifestazioni esteriori cambia radicalmente.
     Gesù è l’unico che ha la forza per trasformarci; da lì possono essere generati frutti buoni di fede, di speranza e di carità.
    Giovanni dice cosa fare, ma Gesù dà anche la forza per farlo; soprattutto Gesù è colui che con noi e in noi opera tutto ciò. San Paolo ha ben chiaro tutto questo quando afferma “Per grazia di Dio, … sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me” (1Cor 15,10).

Nessun commento:

Posta un commento