Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 29 dicembre 2012

Il maligno e la famiglia





SANTA FAMIGLIA

     Scrive l’evangelista san Giovanni: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio … E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,1;14). Sappiamo molto bene che Dio poteva scegliere molti modi, per noi impensabili, per rendersi visibile ai nostri occhi – soprattutto modi più “degni” della Sua grandezza -, eppure ha voluto entrare nella nostra storia attraverso il corpo di carne di una giovane donna, sposa di un uomo di nome Giuseppe.

     Non possiamo archiviare con troppa superficialità questa notizia: Dio ha voluto salvarci, passando per una famiglia; non è semplicemente un dato storico, oramai superato: Dio ha voluto dirci qualcosa.
     Scrive il celebre storico Arnold Toynbee: “La distruzione che in passato ha sopraffatto molte civiltà non è mai stata il risultato del lavoro di un’entità esterna, ma ha sempre avuto l’aspetto di un suicidio”. Questo significa che, prima di cercare un nemico esterno alla crisi di una società, bisogna chiedersi se non sia la società stessa a essere diventata così fragile, a causa delle proprie scelte,  da rendersi particolarmente vulnerabile all’azione del fattore esterno.
     Per intenderci meglio: nel mio studio c’è un armadio che i tarli stanno rosicchiando all’interno e ciò lo porterà piano  piano a un indebolimento strutturale; questo significa che prima o poi, basterà solamente appoggiarvisi per vederlo crollare. Certo che, allora, io sarò la causa apparente della rovina del mobile, ma in realtà la vera causa saranno stati i tarli. Non sono io il nemico del “mobile”, ma i tarli; sono essi che devono essere vinti.
     Nella sua azione distruttrice del progetto di Dio, il  maligno si serve da sempre di ogni mezzo. Scrive san Cipriano di Cartagine: “Ora, bisogna guardarsi non solo dai pericoli aperti e manifesti, ma pure dalle insidie tese con l’astuzia sottile dell’imbroglio”. Il maligno sa benissimo che se ci attacca frontalmente, noi ci difendiamo, perché quando il pericolo è manifesto, la difesa diventa immediata. Per questo usa l’astuzia. Per essere più chiari, usando la precedente immagine del mobile, invece di abbatterlo a colpi d’ascia, gli inocula una grande quantità di tarli.
     San Cipriano ricorda che “quel nemico, vedendo i suoi idoli abbandonati, e disertati i suoi templi e le sue sedi a causa del gran numero dei credenti, ha escogitato un nuovo inganno quello cioè di far cadere gli imprudenti presentandosi con l’etichetta del nome cristiano. Ha inventato, cosi, le eresie e gli scismi per sovvertire la fede, per corrompere la verità, per spezzare l’unità. … Cosi costoro finiscono per chiamarsi cristiani senza però osservare la legge del Vangelo di Cristo; e mentre camminano nelle tenebre, pensano di stare nella luce” (L’unità della Chiesa). Il maligno prima si è servito del paganesimo, scrive il santo vescovo e, una volta che Cristo lo ha vinto, ha introdotto la divisione nella Chiesa con le eresie.
     Il maligno combatte tutto ciò che ostacola la sua opera e non fa sconti; tutto il male che gli è possibile lo compie e se si ferma un istante è solo perché gli conviene.
     La Chiesa è la sua acerrima nemica e da duemila anni cerca in ogni modo di devastarla – ma Gesù ha promesso che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” -; un’altra grande nemica è proprio la famiglia. Egli sa benissimo che essa è il luogo fondamentale dove nasce, cresce e si dona l’amore e, per questo non c’è niente di più pericoloso. Quando parlo d'amore, intendo quella capacità di porre l'altro al centro dell'esistenza e non la sua negazione, ossia mettere sé al centro dell'esistenza altrui. Il maligno è indifferente a tutto ciò che non gli crea problemi; se attacca qualcosa o qualcuno è perché gli è d’ostacolo.
     Come in altri casi, egli fa si che non si cambi il nome alle cose, ma il contenuto. Da questo punto di vista ha grande fantasia – chiama guerra preventiva, un attacco offensivo e non difensivo; aborto, l’omicidio del proprio figlio; morte degna, l’eliminazione attiva di un malato; difesa della razza, l’eliminazione di tutti gli imperfetti; famiglia, ogni tipo di convivenza. -. Anche in quest’ultimo caso, la sua opera consiste nel mantenere la parola “famiglia”, svuotandola però di ogni suo vero contenuto, per riempirla poi di altre cose. Se vuole salvare il nome, ma cambiarne il contenuto, avrà pur le sue buone ragioni?
     Ora invece noi cristiani dobbiamo fermarci un attimo, e chiederci: cosa intende il Signore Dio per famiglia?
     Ancora una volta ascoltiamo san Cipriano: “Del resto, come può dire di credere in Cristo colui che non fa ciò che Cristo ha comandato di fare? o come giungerà al premio della fede, colui che non vuole star fedele ai comandamenti? Costui necessariamente ondeggerà disorientato, e, in balia dello spirito dell’errore, sarà come la polvere che il vento solleva e si porta via qua e là. Non potrà certo avanzare nel cammino verso la sua salvezza, colui che non si mette sulla vera via della salvezza” (L’unità della Chiesa).
     Ecco le parole della Genesi: “E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen 2,18ss).
     Questa è la strada che il Signore ci propone di percorrere; questa noi vogliamo percorrere, sapendo benissimo che tra “il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Chiediamo al Signore la misericordia per la nostra fragilità, ma nel contempo gli confermiamo che vogliamo essere suoi cooperatori nella salvezza del mondo.

1 commento:

  1. Ancora una volta metti in risalto il problema della responsabilità (..i tarli...). Tutto ciò è vero, noi spesso dimentichiamo di guardarci dentro, perchè siamo troppo protesi a giudicare e a condannare l'altro e, questo atteggiamento ci impedisce di vedere le nostre colpe. Qui, secondo me, ha grande spazio di lavoro il maligno, che sà, abilmente approfittare delle nostre debolezze, impedendoci di prendere coscienza delle nostre miserie. Anna

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