Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 12 febbraio 2013

Marina Corradi - editorialista di Avvenire - esprime esattamente il mio stato d'animo

Non accadeva da secoli. E si pensava non potesse accadere. Il mondo, da un capo all’altro, sbalordito. «Ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum». L’austerità del latino rende appieno la drammaticità e l’essere già storia di quelle poche righe: «Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino...».

Le parole a lungo ponderate in silenzio, maturate in un confronto serrato fra la coscienza di un uomo e Dio, erompono, inattese. Il web impazzisce. I potenti dichiarano. Ma noi credenti, noi che amiamo Benedetto XVI, che ne ascoltiamo da anni le parole e ne conosciamo il profondo amore per la Chiesa, siamo rimasti, ieri, profondamente smarriti. Tu, te ne vai? In quanti conventi e cattedrali e chiese e missioni e case e favelas in tutto il mondo questa domanda è risuonata ieri, dolorosa. Tu, Pietro, rinunci. E noi nelle nostre fatiche e sofferenze ci siamo sentiti più soli, come un esercito il cui generale, gravato dagli anni, lasci il campo. Semplicemente, dolore: un dolore filiale è ciò che milioni di fedeli hanno sentito addosso, ieri. Noi, non sappiamo. Non conosciamo in che modo la « ingravescens aetas » abbia incalzato il Papa, sempre più da vicino, e come, rodendone le energie, abbia avuto la meglio sulle forze dell’uomo. Nemmeno possiamo immaginare quale carico di responsabilità e sfide gravi oggi sul Papa. Se sapessimo, forse capiremmo. Ciò di cui non dubitiamo è che questo gesto sia ancora e sempre di amore per la Chiesa; che Benedetto abbia pensato al bene Chiesa, prima che a sé, nel decidere.

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