Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 9 marzo 2013

Grazie Signore della tua compassione



IV DOMENICA QUARESIMA

Il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto” (Salmo 26,8).
     Oggi il nostro Dio ci mostra il Suo volto e la Sua bellezza, così che possiamo dire: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,5) e “Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio” (Salmo 18,2s).
     Dopo aver ascoltato  questa parabola del Signore Gesù, non  c’è più alcuna ragione per dubitare della pazienza e dell’amore infinito di Dio; non è più permesso mettere in discussione la volontà del Creatore di salvare e di perdonare ciascuna delle sue creature; non è più possibile considerare come irrimediabilmente perduto e condannato nessun peccatore.

     Dio è Colui che con ansia, veglia sulla porta, in attesa del nostro ritorno; noi siamo quel figlio e a per noi valgono i gesti del Padre: “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20); Egli “non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe” (Salmo 103,9s).
     Questo significa che il Signore non si fissa sul nostro passato, anche se tenebroso? Certamente! Come è possibile? Viviamo in un mondo dove molti, troppi, anche all’interno della Chiesa, non fanno sconti e hanno una memoria fortissima per tutto ciò che di male vedono fare. Tanto sono duri con gli altri, quanto trovano scusanti per se stessi, pensando nel contempo di essere fedeli discepoli.
     Dimentichiamo troppo spesso che “chi dice di rimanere in (Cristo) …, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6). Non riusciamo a comprendere che, quando agiamo così, invece di mostrare al mondo il volto di luce di Dio, serviamo il Suo nemico, l’Anticristo, Satana, l’accusatore.
     Come fa Dio ad avere compassione di un figlio come quello della parabola? Egli ha rinnegato suo padre, l’ha praticamente considerato morto – l’eredità la si riceve solo in quel caso -, ha sprecato, consumato, rovinato tutto; si è ridotto quasi a livello animale, tanto da aver voglia di mangiare le ghiande come i porci.
     No, uno così deve essere punito, non può passarla liscia – diremmo noi -. Come il fratello maggiore, troppo spesso siamo gli accusatori che s’indignano: “questo tuo figlio … ha divorato tutte le tue sostanze con le prostitute e per lui hai ammazzato il vitello grasso” (15,30).
     Non riusciamo a capire che per il Signore ogni creatura è un figlio da salvare: “come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono,  perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere” (Salmo 103,13s).
     Ci sentiamo come il profeta Giona che, si scandalizza arrabbiato perché Dio vuole salvare gli abitanti di Ninive, una città di peccatori: “io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?» (Gio 4,11).
     Come fa un Padre a non avere pietà di un figlio che ha perso la sua dignità?
     Ora stiamo attenti a non cadere in un terribile sbaglio: credere che per Dio sia tutto indifferente: “O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?” (Rm 2,4). Il figlio minore ha rischiato di rovinare per sempre la propria esistenza; nessun padre di buon senso potrebbe esserne contento. Dio è nostro Padre e non accetta di lasciarci andare in rovina; fa di tutto per recuperarci, non ci vuole lasciare in balia del peccato.
     Quel ragazzo rappresenta coloro che pensano di trovare la libertà lontano da Dio. Che cosa ha trovato? La fame: “Io qui muoio di fame”.
     Questo è il nostro tempo! Ce ne stiamo andando sempre più lontani da Dio, ma quanta fame c’è in giro! Come vorrei gridare al mondo intero: “Torniamo a casa, Dio ci aspetta, per darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno”.
    Dio ci dice oggi: “Se te ne sei andato lontano da me, non temere, torna a casa. Io non voglio la tua morte, ma che tu viva. Quando tornerai faremo festa”.

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