Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 2 marzo 2013

Tagliare?



III DOMENICA QUARESIMA

     “Tagliate gli alberi alti”, fu la parola d’ordine lanciata da Radio Mille Colline, con cui iniziò il massacro dei Tutsi da parte degli Hutu in Ruanda. Centinaia di migliaia di donne uomini e bambini furono barbaramente uccisi. Anche un nostro frate, George, fu fatto scender dall’auto a un posto di blocco e ucciso a colpi di machete.

     Noi inorridiamo di fronte a queste vicende e le chiamiamo barbarie: giustamente.
     Eppure nel nostro cuore cova spesso lo stesso fuoco. Ascoltando il brano evangelico ci viene subito da pensare che sia Dio colui che vuole l’eliminazione del fico infruttuoso, invece è l’essere umano che dice: taglialo! Quando abbiamo davanti agli occhi un fico che ci sembra senza frutti – sia una persona vicina o lontana; parente o collega; conosciuta o sconosciuta – molto spesso la reazione è di eliminarla, anche fisicamente, se è il caso.
     Prima tagliamo, se poi ci accorgeremo di avere fatto un errore, chiederemo scusa, ma intanto ….
     Lo so che ci viene spontaneo reagire così, ma questo dice che in noi comanda ancora l’uomo vecchio, quello che ragiona in maniera tutta umana e che non lascia spazio all’uomo nuovo, quello che fa del pensiero di Cristo il suo criterio di scelta.
     E’ Gesù Cristo che implora e dice: “ lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime” (Lc 13, 8). Per  qualcuno ci sembra che sia tutto inutile, anzi ingiusto, ma pensiamo che potremmo essere proprio noi quel fico senza frutti e che abbiamo bisogno di tempo in più e dell’azione della grazia che ci sostenga.
     Noi che fatichiamo così tanto a produrre frutti e siamo consapevole che, quando ne produciamo, è lo Spirito Santo che ha lavorato tanto, dovremmo avere più compassione. San Paolo lo afferma chiaramente: “ Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me” (1Cor 15,10).
     Anche Mosè è stato chiamato a essere guida e aiuto di un popolo che da solo non ce la faceva. Non gente facile, anzi più volte verrà definita “di dura cervice”, dalla testa dura, eppure Dio “ha osservato la miseria del … popolo … e ha udito il suo grido … (Egli conosce) le sue sofferenze” (Es 3,7).
     La Chiesa di Cristo, Suo corpo vivente qui e oggi, nella molteplicità dei suoi ministeri, è chiamata a essere quella voce che dice: “Non tagliarlo!”, lascia che zappi e concimi. La Chiesa è una madre e come tale conosce benissimo i suoi figli. Essa sa che anche quando l’apparenza mostra che la pianta è malata e senza frutti, in realtà sotto c’è una creatura sana, magari soffocata da strati di male, ma che bisogna provare a fare emergere. Dio ha creato ogni esser umano buono, anche se nella libertà deformata può ridursi quasi ad animale.
     La Chiesa è un luogo di cura, non di punizione e, anche quando deve “punire”, lo fa per curare. Certo “sul momento ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12,11).
     Noi non siamo figli di Cronos il padre degli dèi greci, che divorava i suoi figli per evitare che essi lo facessero fuori, ma di Dio Padre che ha scelto, in Cristo, di farsi mangiare – ben tre volte Luca sottolinea che il bambino Gesù è stato posto in una mangiatoia e Gesù stesso dirà: “Chi mangia la mia carne e bene il mio sangue …” -.
     Donaci Signore la tua compassione per ogni fico senza frutto, a partire da noi stessi, visto che a volte ci disprezziamo e ci buttiamo via, senza riconoscere che per te siamo preziosi. Donaci il tuo sguardo che sa riconoscere le potenzialità di bello e di bene che stanno nella terra buona di ogni tua creatura e aiutaci a ad aiutare a farle germogliare.    

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