Non disperare perciò di poter tornare
ottimo. Se il diavolo ha avuto tanta forza da potere, da quell’alta cima
di virtù, trascinarti all’estremo del male, molto più Dio ha forza di
tirarti su un’altra volta alla fidanza d’un tempo, e non solo questo, ma
farti molto più felice di prima.
Soltanto, non ti avvilire, non
rinunziare alla speranza, non avere sentimenti di empietà. Non è la
moltitudine dei peccati che induce a disperare, ma l’avere un animo
empio. Per questo Salomone non disse già che disprezza Dio chiunque è
caduto nell’abisso dei peccati, ma solo l’empio. Solo questi hanno tali
sentimenti, che non li lasciano guardare in alto e risalire là donde
sono caduti. Questo sciagurato sentimento infatti è come un giogo posto
sul collo dell’anima, che la costringe a guardare in giù e le impedisce
di levare gli occhi al suo Signore. Ma un uomo generoso e nobile deve
spezzare questo giogo e ributtare il carnefice che glielo ha imposto e
dire col profeta: Come gli occhi d’una ancella sono volti alle mani
della sua padrona, così gli occhi nostri al Signore Dio nostro, fino a
che abbia pietà di noi. Usaci misericordia, o Signore, usaci
misericordia, perché siamo colmi di abiezione.
Davvero questi sono insegnamenti divini
e verità della sapienza celeste. Siamo proprio colmi di abiezione e
sottostiamo a mali innumerabili, ma ciononostante non cessiamo di
guardare a Dio, né smettiamo di pregarlo fino a che abbia accolto la
nostra domanda. Questo è segno di animo grande, non abbattersi, non
disperare per quanti ostacoli ci siano, non cedere anche se dopo molte
preghiere nulla si è ottenuto, ma perseverare fino a che Dio ci usi
compassione, come dice il beato David.
Per questo il diavolo ci vuole condurre
a pensieri di disperazione per troncarci la speranza in Dio, ancora
salda, cui sta attaccata la nostra vita, guida che ci conduce per mano
alla via del cielo, salvezza delle anime perdute. Infatti, come dice
l’Apostolo, siamo salvi con la speranza. Essa è appunto come una catena
robusta, calata dal cielo, che porta le anime nostre e che pian piano
tira lassù quelli che si tengono fortemente attaccati a essa, levandosi
fuori dalla bufera dei mali di questa vita. Ma se uno s’infiacchisce e
lascia andare quest’ancora sacra, subito precipita e affoga nell’abisso
della malvagità. Per questo il maligno diavolo, quando ci vede aggravati
dalla coscienza delle nostre male azioni, viene ad aggiungervi il
pensiero della disperazione, grave più che il piombo; e se noi lo
accogliamo, necessariamente con simile peso saremo tirati giù e staccati
da quella catena, piomberemo nell’abisso dei mali. In questo abisso tu
pure ora ti trovi, per aver rigettato i precetti del tuo mite e umile
Signore e aver seguito invece tutti quelli del feroce tiranno, nemico
irreconciliabile della nostra salute, spezzato il giogo soave, gettato
lontano il carico leggero e in loro vece ti sei fatto incatenare con
ceppi di ferro e ti sei legata al collo una macina pesantissima. Come
potrai ora evitare che l’infelice anima tua sprofondi sempre più, dal
momento che ti sei messo nella necessità di scendere sempre più basso?
La donna che aveva ritrovato la dramma perduta, chiamava le vicine a
partecipare alla sua gioia, dicendo: Rallegratevi con me. Io invece
chiamo ora tutti gli amici miei e tuoi non a rallegrarsi, ma a gemere
con me e dico: Piangiamo insieme e alziamo lamenti. Una gravissima
sventura ci è venuta addosso, non perché abbiamo perduto gran somma
d’oro o molte pietre preziose, ma perché il migliore di quanti con noi
navigavano in questo vasto mare, è caduto, non so come, in acqua e si è
sprofondato nell’abisso.
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