Non è dunque il Vaticano II e i suoi documenti (è appena il caso
di ricordarlo) che fanno problema. Semmai, per molti - e Joseph
Ratzinger è tra questi, non da ieri - il problema è costituito da molte
interpretazioni di quei documenti che avrebbero condotto a certi frutti
dell'epoca postconciliare.
Da parecchio tempo, il giudizio di Ratzinger su questo periodo è
netto: "è incontestabile che gli ultimi vent'anni sono stati decisamente
sfavorevoli per la Chiesa cattolica. I risultati che hanno seguito il
Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare
da quelle di papa Giovanni XXIII e poi di Paolo VI. I cristiani sono di
nuovo minoranza, più di quanto lo siano mai stati dalla fine
dell'antichità".
Spiega così il suo giudizio severo, che ci è stato ripetuto
durante il colloquio: "I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una
nuova unità cattolica e si è invece andati incontro a un dissenso che -
per usare le parole di Paolo VI - è sembrato passare dall'autocritica
all'autodistruzione. Ci si aspettava un nuovo entusiasmo e si è invece
finiti troppo spesso nella noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava
un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo
progressivo di decadenza che si è venuto sviluppando in larga misura
sotto il segno di un richiamo a un presunto "spirito del Concilio" e in
tal modo lo ha screditato".
Dunque, già dieci anni fa concludeva: "Va affermato a chiare
lettere che una reale riforma della Chiesa presuppone un inequivocabile
abbandono delle vie sbagliate che hanno portato a conseguenze
indiscutibilmente negative".
Ha scritto una volta: "Il card. Julius Dópfner diceva che la
Chiesa del dopo Concilio è un grande cantiere. Ma uno spirito critico ha
aggiunto che è un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno
continua a fabbricare secondo il suo gusto. Il risultato è evidente".
È però costante in lui la preoccupazione di ripetere con
altrettanta chiarezza che "nelle sue espressioni ufficiali, nei suoi
documenti autentici, il Vaticano II non può essere ritenuto responsabile
di questa evoluzione che - al contrario - contraddice radicalmente sia
la lettera che lo spirito dei Padri conciliari".
Dice: "Sono convinto che i guasti cui siamo andati incontro in
questi venti anni non siano dovuti al Concilio "vero" ma allo
scatenarsi, all'interno della Chiesa, di forze latenti aggressive,
centrifughe, magari irresponsabili oppure semplicemente ingenue, di
facile ottimismo, di un'enfasi sulla modernità che ha scambiato il
progresso tecnico odierno con un progresso autentico, integrale. E,
all'esterno, all'impatto con una rivoluzione culturale: l'affermazione
in Occidente del ceto medio-superiore, della nuova" "borghesia del
terziario" con la sua ideologia liberal-radicale di stampo
individualistico, razionalistico, edonistico".
Dunque, la sua parola d'ordine, l'esortazione a tutti i cattolici
che vogliano rimanere tali, non è certo un "tornare indietro"; bensì:
"tornare ai testi autentici del Vaticano II autentico".
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