Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

lunedì 27 maggio 2013

Povertà francescana

Molti pensano a san Francesco come al Santo della povertà e certamente non sbagliano. 
Quale povertà ha vissuta questo grande uomo evangelico? E' stato forse il primo a vivere la radicalità che tutti gli riconosciamo?

In realtà Francesco non è l'iniziatore della vita in radicale povertà; prima di lui tanti altri uomini e donne hanno percorso la stessa strada, forse anche in modo ancor più duro. Alcuni di questi però si sono talmente insuperbiti per la loro coerenza, da disprezzare gli altri, fino a separarsi dalla Chiesa e a uccidere, in nome della povertà.
Nella Regola scritta nel 1223, invece, Francesco scrive: "Li ammonisco, però, e li esorto a non disprezzare e a non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati e usare cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso" (Rb 2). Chi ammonisce ed esorta Francesco? Naturalmente i frati; forse anche loro cominciavano a sentirsi "ricchi" della loro altissima povertà.
La povertà materiale, anche radicalissima, senza umiltà, non ha nulla a che fare con Francesco d'Assisi.  Una povertà che indurisce, non è francescana.
Proviamo a rileggere il primo capitolo della Regola, scritta nel 1221: "La regola e vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l'esempio del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dice: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e poi vieni e seguimi», e: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»; e ancora: «Se qualcuno vuole venire a me e non odia il padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle e anche la sua vita stessa non può essere mio discepolo». E: «Chiunque avrà lasciato il padre o la madre, i fratelli o le sorelle, la moglie o i figli, le case o i campi per amore mio, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna».
Ecco che Francesco ci mostra le ricche sfaccettature della povertà francescana: c'è indubitabilmente la l'aspetto legato alle cose materiali. Francesco vuole che i frati si fidino di Dio e non fondino la loro sicurezza sulle cose. Egli non disprezza i beni materiali in sé, ma sa quale forza hanno sugli uomini. Chi ha le cose deve custodirle, difenderle e rischia di dimenticare di avere bisogno di Dio. Come scrive il salmista: "L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono".
C'è però un'altra povertà, più profonda: la dipendenza. Rinnega te stesso! questa è la parola di Gesù e questa è la parola di Francesco. Se sei "povero" di te stesso, lasci che sia Dio a condurti, non conservi per te degli spazi nei quali Lui non è Signore. Chi è "ricco" invece delle proprie idee, progetti fe visioni passerà il tempo a discutere con Dio, invece di seguirlo fiduciosamente.
C'è in fine la povertà degli affetti, che non significa indifferenza o rifiuto di relazioni umane profonde - non sia mai -, bensì una libertà anche rispetto a questi, che consenta di fare sempre la volontà di Dio, anche quando è incompresa o rifiutata dalle persone care.
Vedete, la povertà per Francesco, non è un fine, ma un mezzo per servire, amare e onorare Dio. Per Francesco è povero, non chi disprezza le belle cose di Dio, se stesso e le relazioni umane, ma chi, pur amando queste realtà, non si lascia condizionare, rallentare, ostacolare nel seguire l'unico, vero e sommo bene: Dio. E' povero, non chi rinuncia, ma chi sceglie il meglio e per questo lascia da parte ciò che, sebbene buono, è relativo.

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