Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 26 ottobre 2013

Abbi pietà di me, Signore



XXX DOMENICA T.O.
    
     Parlando del giudizio finale, Gesù afferma:“verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti” (Mt 25,32ss)..    
     Coloro ai quali Gesù sta parlando, non sono consapevoli del bene fatto; Lui intende “premiarli”, ma essi gli dicono: “Quando ti abbiamo accolto, vestito, visitato, sfamato e dissetato? Sembrano stupiti. E’ vero che il Signore sta dicendo soprattutto che, quando si cura una persona in difficoltà, si ha cura di Lui stesso, ma, penso non sia fuori luogo affermare che, costoro, nella loro esistenza hanno sparso il dono della compassione e della carità, ma non se ne sono nemmeno accorti.
     Come mai? Perché evidentemente avere cura e attenzione per gli altri,  era il loro modo di essere. Essi hanno compiuto opere compassionevoli, perché erano compassionevoli. Un conto è fare la carità e un’altra cosa è essere carità.
     C’è invece un’altra parola molto forte di Gesù: “Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!” (Lc 13,25ss). Questi al contrario, una volta trovatisi fuori dal Regno di Dio, cercano di elencare le cose buone che hanno fatte; eppure Gesù gli dice: “Non so di dove siete!”.
     San Paolo ci spiega bene, quando, scrivendo ai Corinzi, dice: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe”
(1Cor 13,1ss). E’ chiaro: si possono fare cose buone, addirittura eroiche, senza che queste contino nulla davanti agli occhi di Dio, perché Dio legge nel cuore di ognuno di noi e sa cosa ci muove ad agire: “Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto” (Eb 4,13).
     Confesso che provo preoccupazione e disagio, quando mi trovo davanti a persone che  elencano con soddisfazione le cose che fanno per Dio e per gli uomini; esse dimenticano infatti, che a Gesù piacciono coloro “la cui destra non sa ciò che fa la sinistra”. E’ molto difficile aiutarle, proprio perché credono di non avere bisogno di aiuto. Normalmente si sentono in pari con Dio, anzi si sentono talmente brave, che è Dio ad avere un debito nei loro confronti. Il nostro fariseo è talmente contento di sé, che si sente unico al mondo per la sua bravura: "Non sono come tutti gli altri uomini, ingiusti, ladri, adulteri".
     Dacci o Signore il cuore del pubblicano; metti dentro noi la capacità di riconoscerci per quello che siamo: creature fragili, che senza di Te non sanno andare da nessuna parte. Aiutaci, non a fare il bene, ma a essere bene con te e per te.

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