Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 28 novembre 2013

ESORTAZIONE APOSTOLICA EVANGELII GAUDIUM DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Offro l'inizio dell'esortazione apostolica del Santo Padre Francesco, il resto lo si trova agevolmente nella Rete.

ESORTAZIONE APOSTOLICA
EVANGELII GAUDIUMDEL SANTO PADRE
FRANCESCOAI VESCOVI
AI PRESBITERI E AI DIACONI
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
SULL' ANNUNCIO DEL VANGELO
NEL MONDO ATTUALE






1. La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni.

2. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto.
3. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché « nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore ».[1] Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: « Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici ». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare « settanta volte sette » (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!
4. I libri dell’Antico Testamento avevano proposto la gioia della salvezza, che sarebbe diventata sovrabbondante nei tempi messianici. Il profeta Isaia si rivolge al Messia atteso salutandolo con giubilo: « Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia » (9,2). E incoraggia gli abitanti di Sion ad accoglierlo con canti: « Canta ed esulta! » (12,6). Chi già lo ha visto all’orizzonte, il profeta lo invita a farsi messaggero per gli altri: « Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme » (40,9). La creazione intera partecipa di questa gioia della salvezza: « Giubilate, o cieli, rallegrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri » (49,13).
Zaccaria, vedendo il giorno del Signore, invita ad acclamare il Re che viene umile e cavalcando un asino: « Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso! » (Zc 9,9). Ma forse l’invito più contagioso è quello del profeta Sofonia, che ci mostra lo stesso Dio come un centro luminoso di festa e di gioia che vuole comunicare al suo popolo questo grido salvifico. Mi riempie di vita rileggere questo testo: « Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia » (Sof 3,17).
È la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: « Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene … Non privarti di un giorno felice » (Sir 14,11.14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole!
5. Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni esempi: « Rallegrati » è il saluto dell’angelo a Maria (Lc 1,28). La visita di Maria a Elisabetta fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre (cfr Lc 1,41). Nel suo canto Maria proclama: « Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore » (Lc 1,47). Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: « Ora questa mia gioia è piena » (Gv 3,29). Gesù stesso « esultò di gioia nello Spirito Santo » (Lc 10,21). Il suo messaggio è fonte di gioia: « Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » (Gv 15,11). La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: « Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia » (Gv 16,20). E insiste: « Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia » (Gv 16,22). In seguito essi, vedendolo risorto, « gioirono » (Gv 20,20). Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità « prendevano cibo con letizia » (2,46). Dove i discepoli passavano « vi fu grande gioia » (8,8), ed essi, in mezzo alla persecuzione, « erano pieni di gioia » (13,52). Un eunuco, appena battezzato, « pieno di gioia seguiva la sua strada » (8,39), e il carceriere « fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio » (16,34). Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?
6. Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. Però riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie: « Sono rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere … Questo intendo richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. Le grazie del Signore non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà … È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore » (Lam 3,17.21-23.26).
7. La tentazione appare frequentemente sotto forma di scuse e recriminazioni, come se dovessero esserci innumerevoli condizioni perché sia possibile la gioia. Questo accade perché « la società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia ».[2] Posso dire che le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone molto povere che hanno poco a cui aggrapparsi. Ricordo anche la gioia genuina di coloro che, anche in mezzo a grandi impegni professionali, hanno saputo conservare un cuore credente, generoso e semplice. In varie maniere, queste gioie attingono alla fonte dell’amore sempre più grande di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo. Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: « All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva ».[3]
8. Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?
9. Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: « L’amore del Cristo ci possiede » (2 Cor 5,14); « Guai a me se non annuncio il Vangelo! » (1 Cor 9,16).
10. La proposta è vivere ad un livello superiore, però non con minore intensità: « La vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri ».[4] Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale: « Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo ».[5] Di conseguenza, un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale. Recuperiamo e accresciamo il fervore, « la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime […] Possa il mondo del nostro tempo –che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo ».[6]
11. Un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche ai tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fede e una fecondità evangelizzatrice. In realtà, il suo centro e la sua essenza è sempre lo stesso: il Dio che ha manifestato il suo immenso amore in Cristo morto e risorto. Egli rende i suoi fedeli sempre nuovi, quantunque siano anziani, riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi » (Is 40,31). Cristo è il « Vangelo eterno » (Ap 14,6), ed è « lo stesso ieri e oggi e per sempre » (Eb 13,8), ma la sua ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili. Egli è sempre giovane e fonte costante di novità. La Chiesa non cessa di stupirsi per « la profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio » (Rm 11,33). Diceva san Giovanni della Croce: « questo spessore di sapienza e scienza di Dio è tanto profondo e immenso, che, benché l’anima sappia di esso, sempre può entrare più addentro ».[7] O anche, come affermava sant'Ireneo: « [Cristo], nella sua venuta, ha portato con sé ogni novità ».[8] Egli sempre può, con la sua novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comunità, e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ecclesiali, la proposta cristiana non invecchia mai. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”.
12. Sebbene questa missione ci richieda un impegno generoso, sarebbe un errore intenderla come un eroico compito personale, giacché l’opera è prima di tutto sua, al di là di quanto possiamo scoprire e intendere. Gesù è « il primo e il più grande evangelizzatore ».[9] In qualunque forma di evangelizzazione il primato è sempre di Dio, che ha voluto chiamarci a collaborare con Lui e stimolarci con la forza del suo Spirito. La vera novità è quella che Dio stesso misteriosamente vuole produrre, quella che Egli ispira, quella che Egli provoca, quella che Egli orienta e accompagna in mille modi. In tutta la vita della Chiesa si deve sempre manifestare che l’iniziativa è di Dio, che « è lui che ha amato noi » per primo (1 Gv 4,10) e che « è Dio solo che fa crescere » (1 Cor 3,7). Questa convinzione ci permette di conservare la gioia in mezzo a un compito tanto esigente e sfidante che prende la nostra vita per intero. Ci chiede tutto, ma nello stesso tempo ci offre tutto.
13. Neppure dovremmo intendere la novità di questa missione come uno sradicamento, come un oblio della storia viva che ci accoglie e ci spinge in avanti. La memoria è una dimensione della nostra fede che potremmo chiamare “deuteronomica”, in analogia con la memoria di Israele. Gesù ci lascia l’Eucaristia come memoria quotidiana della Chiesa, che ci introduce sempre più nella Pasqua (cfr Lc 22,19). La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere. Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore: « Erano circa le quattro del pomeriggio » (Gv 1,39). Insieme a Gesù, la memoria ci fa presente una vera « moltitudine di testimoni » (Eb 12,1). Tra loro, si distinguono alcune persone che hanno inciso in modo speciale per far germogliare la nostra gioia credente: « Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la Parola di Dio » (Eb 13,7). A volte si tratta di persone semplici e vicine che ci hanno iniziato alla vita della fede: « Mi ricordo della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce » (2 Tm 1,5). Il credente è fondamentalmente “uno che fa memoria”.
14. In ascolto dello Spirito, che ci aiuta a riconoscere comunitariamente i segni dei tempi, dal 7 al 28 ottobre 2012 si è celebrata la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Lì si è ricordato che la nuova evangelizzazione chiama tutti e si realizza fondamentalmente in tre ambiti.[10] In primo luogo, menzioniamo l’ambito della pastorale ordinaria, « animata dal fuoco dello Spirito, per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano la Comunità e che si riuniscono nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna ».[11] Vanno inclusi in quest’ambito anche i fedeli che conservano una fede cattolica intensa e sincera, esprimendola in diversi modi, benché non partecipino frequentemente al culto. Questa pastorale si orienta alla crescita dei credenti, in modo che rispondano sempre meglio e con tutta la loro vita all’amore di Dio.
In secondo luogo, ricordiamo l’ambito delle « persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo »,[12] non hanno un’appartenenza cordiale alla Chiesa e non sperimentano più la consolazione della fede. La Chiesa, come madre sempre attenta, si impegna perché essi vivano una conversione che restituisca loro la gioia della fede e il desiderio di impegnarsi con il Vangelo.
Infine, rimarchiamo che l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato. Molti di loro cercano Dio segretamente, mossi dalla nostalgia del suo volto, anche in paesi di antica tradizione cristiana. Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma « per attrazione ».[13]
15. Giovanni Paolo II ci ha invitato a riconoscere che « bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l’annunzio » a coloro che stanno lontani da Cristo, « perché questo è il compito primo della Chiesa ».[14] L’attività missionaria « rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa »[15] e « la causa missionaria deve essere la prima ».[16] Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa. In questa linea, i Vescovi latinoamericani hanno affermato che « non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese »[17] e che è necessario passare « da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria ».[18] Questo compito continua ad essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa: « Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione » (Lc 15,7).
16. Ho accettato con piacere l’invito dei Padri sinodali di redigere questa Esortazione.[19] Nel farlo, raccolgo la ricchezza dei lavori del Sinodo. Ho consultato anche diverse persone, e intendo inoltre esprimere le preoccupazioni che mi muovono in questo momento concreto dell’opera evangelizzatrice della Chiesa. Sono innumerevoli i temi connessi all’evangelizzazione nel mondo attuale che qui si potrebbero sviluppare. Ma ho rinunciato a trattare in modo particolareggiato queste molteplici questioni che devono essere oggetto di studio e di attento approfondimento. Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”.
17. Qui ho scelto di proporre alcune linee che possano incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice, piena di fervore e dinamismo. In questo quadro, e in base alla dottrina della Costituzione dogmatica Lumen gentium, ho deciso, tra gli altri temi, di soffermarmi ampiamente sulle seguenti questioni:
a) La riforma della Chiesa in uscita missionaria.
b) Le tentazioni degli operatori pastorali.
c) La Chiesa intesa come la totalità del Popolo di Dio che evangelizza.
d) L’omelia e la sua preparazione.
e) L’inclusione sociale dei poveri.
f) La pace e il dialogo sociale.
g) Le motivazioni spirituali per l’impegno missionario.
18. Mi sono dilungato in questi temi con uno sviluppo che forse potrà sembrare eccessivo. Ma non l’ho fatto con l’intenzione di offrire un trattato, ma solo per mostrare l’importante incidenza pratica di questi argomenti nel compito attuale della Chiesa. Tutti essi infatti aiutano a delineare un determinato stile evangelizzatore che invito ad assumere in ogni attività che si realizzi. E così, in questo modo, possiamo accogliere, in mezzo al nostro lavoro quotidiano, l’esortazione della Parola di Dio: « Siate sempre lieti nel Signore. Ve lo ripeto, siate lieti! » (Fil 4,4).

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