IV DOMENICA DI
PASQUA
“All'udire queste cose si sentirono
trafiggere il cuore” (At 2,37). Oggi
coloro che ascoltano Pietro e gli Apostoli, si sentono trafiggere il cuore,
domenica scorsa i discepoli che, delusi, andavano verso Gerico, si sentirono
ardere il cuore. Sia gli uni, che gli altri sono stati toccati dopo l'incontro
col Cristo e con gli Apostoli; è avvenuto qualcosa di profondo: sono stati
toccati nel cuore.
Queste persone non hanno semplicemente
sentito parlare, ma hanno ascoltato le parole e si sono lasciati ferire da
esse. Del resto, lo scopo dell'ascolto della Parola di Dio, è proprio questo: lasciarsi
commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nell'esistenza concreta.
Tra
sentire e ascoltare, c'è la stessa differenza tra lo scroscio di pioggia sulla
terra dura – non opera nulla, perché scorre via - e la lenta penetrazione nel
terreno della medesima: nel primo caso l'acqua va persa, nel secondo genera
vita.
Quando stiamo davanti alla Parola di Dio,
che parla personalmente a ciascuno di noi, come ci poniamo? Nel semplice
sentire o nell'ascolto? Cosa avviene in noi dopo il contatto con Essa? Ci
ritroviamo sempre uguali a noi stessi o la Parola diventa viva ed efficace? è
capace di provocarmi, di farmi uscire dai miei antichi modi di pensare e,
quindi di agire? La parola è capace di darmi occhi nuovi e cuore ardente? vivo come vive il mondo, mi adeguo in ogni cosa al
mondo o sento crescere dentro di me l'esigenza di una vita nuova?
Resto confuso nel constatare la difficoltà a
confessarsi, di chi va a Messa ogni domenica. Mi chiedo come è possibile,
ascoltare la Parola e non esserne mai provocati. Se la parola di Dio “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada
a doppio taglio; ... penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello
spirito, fino alle giunture e alle midolla” (Eb 4,12), come facciamo a non
rimanerne mai segnati e a vivere tranquilli? E' come guardare il sole e non
rimanerne mai abbagliati o accostarsi al fuoco e non sentirsi scaldati e
bruciati.
E' bellissima invece la reazione degli
ascoltatori degli Apostoli; dopo che Pietro li ha messi davanti alla loro
responsabilità - “quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2,36) - , non se ne vanno
indifferenti o arrabbiati con gli apostoli, ma pronti a fare qualcosa: “Che
cosa dobbiamo fare, fratelli?” (At
2,37). Quando Dio riesce a entrare concretamente nel nostro spazio,
inevitabilmente qualcosa di estremamente concreto avviene: Dio ci spinge
all'agire, la conversione è inevitabile, seppure nel rispetto delle nostre
fatiche e lentezze.
Del resto è anche ciò che Gesù dichiara
nel Vangelo: “Le pecore lo seguono (il pastore), perché conoscono la
sua voce” (Gv 10,4). Chi si riconosce nel Cristo non si accontenta di
parlare di Lui o di sapere che esiste, gli va dietro concretamente; scrive
Bonhoeffer: “Cristo chiama e, senza
ulteriore intervento, chi è chiamato obbedisce prontamente. Il discepolo non
risponde confessando a parole la sua fede in Gesù, ma con un atto di
obbedienza” (Sequela).
Abbiamo
grande bisogno di guardare ai santi, non solo quelli già canonizzati o di fama
internazionale, ma anche di quelli che calcano le nostre strade; abbiamo
bisogno di loro, perché ci ricordano costantemente, che la fede, quando non è
semplice ragionamento o spiritualismo, genera inevitabilmente una vita nuova.
Quante
voci, Signore, ci chiamano a seguirle; quanti vorrebbero farsi nostri maestri,
ma da quando abbiamo sentito la tua voce e la tua parola, anche se ci sentiamo
tanto inadeguati e indegni di esseri tuoi, non possiamo fare altro che, cercare
di seguire te. Abbiamo capito, che se vogliamo essere liberi, Tu sei
libertà; se siamo affamati e assetati,
Tu sei il cibo che non perisce e l'acqua che disseta; se siamo disperati, Tu
sei speranza; se siamo peccatori, Tu sei perdono e misericordia; se siamo
disorientati, Tu sei la Via Vera; se stiamo morendo lentamente, Tu sei la vita.
Continua a cercarci, Signore; continua ad aspettarci, quando prendiamo vie
assurde, convinti che ci portino alla felicità; continua a dire al nostro
cuore: “Sono io la tua salvezza”.
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