Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 23 maggio 2015

Soffia sulle nostre vele



PENTECOSTE

     I primi anni della mia esistenza li ho trascorsi in un’antica corte di campagna.
Eravamo tanti bambini e i nostri pomeriggi li trascorrevamo nell’aia o nei campi. Ricordo che sul confine c’era un canale (oggi mi sembra poco più che un fosso) dal quale noi bambini dovevamo stare molto lontani, perché considerato molto pericoloso dai nostri genitori e poi, oltre a tanti piccoli fossi, una canaletta in cemento, che a noi pareva un lungo treno. Il canale, i fossi e la canaletta, non erano altro che elementi indispensabili affinché l’acqua, dal Po, il grande fiume – come lo chiamava Guareschi - attraverso i canali della Bonifica, raggiungesse i campi più lontani. Senza quell’acqua, nel periodo più caldo della stagione estiva, il raccolto sarebbe andato “bruciato”;: senza acqua non c’è vita
     Gesù dalla croce, poco prima di morire, dopo avere gridato con forza, “donò lo Spirito”. Poco dopo gli fu perforato il fianco da cui sgorgarono sangue e acqua. Quel giorno Gesù è diventato come una sorgente di acqua pura, viva, indispensabile per irrigare il mondo. Dopo Cristo, vero Dio e vero uomo, il progetto di salvezza del Padre, è portato avanti dallo Spirito Santo, “che è Signore e dà la vita”.
     Quello stesso Dono ha raggiunto i Discepoli facendoli subito fiorire. Quegli uomini che pochi giorni prima erano rinchiusi, nascosti per paura dei Giudei, ora cominciano a parlare liberamente, senza timore e nessuno riuscirà più a fermarli. Da quel momento la franchezza (parresia) contraddistinguerà gli Apostoli e i Discepoli. Né le minacce né le violenze riusciranno a ostacolare la loro libertà. Gesù l’aveva promesso: “La libertà vi farà liberi” (Gv 8,32). Come scrive il profeta Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7ss).
     Ieri è stato beatificato monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador ucciso mentre stava celebrando l’Eucaristia il 24 marzo 1980. La sua morte è stata dovuta alla sua vita. Diventando arcivescovo della capitale del Salvador, assistendo alle ingiustizie e alle violenze tremende a cui veniva sottoposto il suo popolo e alcuni dei suoi preti, comprese che non poteva tacere. Egli aveva paura - racconta un amico: “Si tolse gli occhiali … e rimase in un silenzio che fu per tutti noi  molto grave. Lo si vedeva abbattuto e triste. Mangiava la minestra con lentezza e ci guardava attentamente uno per uno. Mia mogli, che alla tavola gli sedeva a fianco, restò interdetta per uno sguardo lungo e profondo che le rivolse, come volesse dirle qualcosa. Sai suoi occhi sgorgarono lacrime” (Roberto Morozzo della Rocca,  Primero Dios, Mondadori 344) -, ma non smise di denunciare il male, da qualunque parte venisse e, non permise che Cristo venisse messo a tacere.
     Il giorno prima di essere ucciso disse: “Com’è facile denunciare l’ingiustizia sociale, la violenza istituzionalizzata, il peccato sociale! Ed è tutto vero, ma dove nasce questo peccato sociale? Nel cuore di ogni uomo.  … La salvezza comincia dall’uomo, dallo strappare dal peccato ogni uomo. … Non lanciamo soltanto slogan di cambiamenti di strutture perché a nulla servono strutture nuove quando non ci sono uomini nuovi che usino e vivano queste strutture”(Ibid. 254). San Paolo ci ha appena detto la stessa cosa, elencato i frutti della carne, ossia di un’esistenza chiusa all’azione trasformante dello Spirito: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,19ss), mentre nel contempo ci mostra i frutti di chi si lascia raggiungere dallo Spirito: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (5,22).
     Abbiamo bisogno di tornare a dissetarci profondamente allo sorgenti dello Spirito Santo, perché così possiamo diventare davvero quel lievito che fa fermentare tutta la pasta.
    

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