PENTECOSTE
I primi anni della mia esistenza li ho trascorsi in un’antica corte di
campagna.
Eravamo tanti bambini e i nostri pomeriggi li trascorrevamo nell’aia
o nei campi. Ricordo che sul confine c’era un canale (oggi mi sembra poco più
che un fosso) dal quale noi bambini dovevamo stare molto lontani, perché
considerato molto pericoloso dai nostri genitori e poi, oltre a tanti piccoli
fossi, una canaletta in cemento, che a noi pareva un lungo treno. Il canale, i
fossi e la canaletta, non erano altro che elementi indispensabili affinché l’acqua,
dal Po, il grande fiume – come lo chiamava Guareschi - attraverso i canali
della Bonifica, raggiungesse i campi più lontani. Senza quell’acqua, nel
periodo più caldo della stagione estiva, il raccolto sarebbe andato “bruciato”;:
senza acqua non c’è vita
Gesù dalla croce, poco prima di morire, dopo avere gridato con forza, “donò
lo Spirito”. Poco dopo gli fu perforato il fianco da cui sgorgarono sangue e
acqua. Quel giorno Gesù è diventato come una sorgente di acqua pura, viva,
indispensabile per irrigare il mondo. Dopo Cristo, vero Dio e vero uomo, il
progetto di salvezza del Padre, è portato avanti dallo Spirito Santo, “che è Signore e dà la vita”.
Quello stesso Dono ha raggiunto i
Discepoli facendoli subito fiorire. Quegli uomini che pochi giorni prima erano rinchiusi,
nascosti per paura dei Giudei, ora cominciano a parlare liberamente, senza
timore e nessuno riuscirà più a fermarli. Da quel momento la franchezza (parresia) contraddistinguerà gli
Apostoli e i Discepoli. Né le minacce né le violenze riusciranno a ostacolare
la loro libertà. Gesù l’aveva promesso: “La
libertà vi farà liberi” (Gv 8,32). Come scrive il profeta Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato
sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di
derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo
urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a
lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco
ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”
(Ger 20,7ss).
Ieri è stato beatificato monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di
San Salvador ucciso mentre stava celebrando l’Eucaristia il 24 marzo 1980. La
sua morte è stata dovuta alla sua vita. Diventando arcivescovo della capitale
del Salvador, assistendo alle ingiustizie e alle violenze tremende a cui veniva
sottoposto il suo popolo e alcuni dei suoi preti, comprese che non poteva
tacere. Egli aveva paura - racconta un amico: “Si tolse gli occhiali … e rimase in un silenzio che fu per tutti
noi molto grave. Lo si vedeva abbattuto
e triste. Mangiava la minestra con lentezza e ci guardava attentamente uno per
uno. Mia mogli, che alla tavola gli sedeva a fianco, restò interdetta per uno
sguardo lungo e profondo che le rivolse, come volesse dirle qualcosa. Sai suoi
occhi sgorgarono lacrime” (Roberto Morozzo della Rocca, Primero
Dios, Mondadori 344) -, ma non smise di denunciare il male, da qualunque
parte venisse e, non permise che Cristo venisse messo a tacere.
Il giorno prima di essere ucciso
disse: “Com’è facile denunciare l’ingiustizia
sociale, la violenza istituzionalizzata, il peccato sociale! Ed è tutto vero,
ma dove nasce questo peccato sociale? Nel cuore di ogni uomo. … La salvezza comincia dall’uomo, dallo
strappare dal peccato ogni uomo. … Non lanciamo soltanto slogan di cambiamenti
di strutture perché a nulla servono strutture nuove quando non ci sono uomini
nuovi che usino e vivano queste strutture”(Ibid. 254). San Paolo ci ha
appena detto la stessa cosa, elencato i frutti della carne, ossia di un’esistenza
chiusa all’azione trasformante dello Spirito: “fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie,
inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie,
ubriachezze, orge e cose del genere” (Gal 5,19ss), mentre nel contempo ci
mostra i frutti di chi si lascia raggiungere dallo Spirito: “Il frutto dello Spirito invece è amore,
gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”
(5,22).
Abbiamo bisogno di tornare a dissetarci profondamente allo sorgenti
dello Spirito Santo, perché così possiamo diventare davvero quel lievito che fa
fermentare tutta la pasta.
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