Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 7 giugno 2015

In cyclette?



CORPUS DOMINI

     La Sequenza recita: “E’ certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. E’ un segno ciò che appare: nasconde realtà sublimi”. Con fermezza noi crediamo;
non perché vediamo una trasformazione chimico-fisica, ma perché Gesù ha detto: “In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6,53ss); tutto il resto non c’importa. Perché lasciarci mettere in crisi dalle parole degli uomini, quando Dio stesso è stato così chiaro?
     Gesù ha cambiato la storia sotto tutti i punti di vista, non per niente la datazione parte da Lui. Anche oggi ci viene mostrata una delle “novità” portate dal cristo. Abbiamo ascoltato cosa fece Mosè: “Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi … per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. … Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo” (Es 24,3ss); Gesù invece “entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue” (Eb 9,12). Mosè ha offerto in sacrificio qualcosa che sta fuori di sé, Gesù ha offerto se stesso.
Già nel salmo 50 troviamo:


“Non prenderò vitelli dalla tua casa
né capri dai tuoi ovili.
10 Sono mie tutte le bestie della foresta,
….
12 Se avessi fame, non te lo direi:
mio è il mondo e quanto contiene.
13 Mangerò forse la carne dei tori?
Berrò forse il sangue dei capri?
14 Offri a Dio come sacrificio la lode
e sciogli all’Altissimo i tuoi voti
(Salmo 50,9ss).


     San Paolo, che fu un fedele osservante della legge dei sacrifici, arriva a dire: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rom 12,1).
     Cosa significa allora celebrare la festa del Corpus Domini?
     Ripeto: affermare ancora una volta e con chiarezza, senza se e senza ma che, nel pane e nel vino, consacrati da un sacerdote,  sappiamo presente realmente e non simbolicamente, Gesù Cristo in persona. Lui è qui con noi.
     Da questa presenza vogliamo lasciarci provocare.
     Una prima provocazione, molto semplice, ma non banale, riguarda il nostro modo di stare alla presenza di Dio. I gesti, l’abbigliamento, la puntualità, possono dire molto della reale fede sulla Presenza reale, di una comunità che celebra. Non crediamo che la forma sia inutile. Guai però se ci fermassimo qui, rischieremmo rapidamente di scivolare nel fariseismo. Il Corpus Domini è molto di più.
     Credere nella Presenza reale, significa riconoscere e accettare che, Gesù ci chiama a offrire noi stessi a Dio. Attenzione, Dio non è come satana, che continua a pretendere sacrifici umani, di uomini uccisi dalla guerra e dal terrorismo; attraverso l’aborto e l’eutanasia; da un’economia iniqua. Quel che Dio desidera da noi è l’offerta di una vita nuova, dove l’amore ci travolge al punto da rendere impossibile ogni prudenza; rompendo le nostre abitudini e spingendoci a decisioni nuove.
     Gesù non vuole che ci abituiamo a poco a poco ad accettare che il nostro vivere ordinario, sia determinato dalla cultura e dalla maniera di pensare imposti dall’ambiente. Gesù teme che la nostra esistenza arrivi a somigliare a coloro che invece di usare la bicicletta, hanno la cyclette: pur pedalando, rimangono sempre nello stesso posto, vivendo in una condizione di moto- immobile.
     La Chiesa è una scuola dove imparare e vivere tutto questo; essa non può essere scambiata per una tettoia sotto cui ci si ripara quando c’è tempesta; ma neppure luogo dove si sta bene perché liberati dalla responsabilità di riempire il tempo di valori autentici. 

"Ti ho cercato, o Signore della vita, e Tu mi hai fatto il dono di trovarti: Te io voglio amare, mio Dio. Perde la vita, chi non ama Te: chi non vive per Te, signore, è niente e vive per nulla. Accresi in me, Ti prego, il desiderio di conoscerti e di amarti, dio mio: dammi, Signore, ciò che ti domando; anche se Tu mi dessi il mondo intero, ma non mi donassi Te stesso, non saprei cosa farmene, Signore. Dammi Te stesso, Dio mio! Ecco, ti amo, Signore: aiutami ad amarti di più" (S. Anselmo).

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