Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

mercoledì 3 giugno 2015

La salvezza viene dallo scarto

PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Lunedì, 1° giugno 2015

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.123, 02/06/2015)
Dio dà sempre vita a una «storia d’amore» con ciascuno di noi. E nonostante quelli che sembrano essere «fallimenti»,
piccoli e grandi, alla fine quel «sogno d’amore» vince. Proprio questo nostro cammino su una «strada difficile», con un Dio che salva attraverso ciò che è scartato, è stato riproposto da Francesco nella messa celebrata lunedì mattina, 1 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta.
Per il Papa, la parabola dei contadini e del padrone della vigna, raccontata da Marco nel passo evangelico (12, 1-12) proposto dalla liturgia, «è un riassunto della storia di salvezza che Gesù fa — come abbiamo sentito — ai capi dei sacerdoti, agli scribi, agli anziani: cioè alla dirigenza del popolo di Israele, a quelli che avevano in mano il governo del popolo, a quelli che avevano in mano la promessa di Dio».
Ed «è una bella parabola», ha fatto notare Francesco, che «incomincia con un sogno, un progetto di amore: quell’uomo che pianta la vigna, la circonda con una siepe, scava la buca per il torchio» e costruisce una torre. È «tutto fatto con amore». L’uomo infatti «amava questo germoglio di vigna» e così «la dà in affitto, la consegna» perché dia frutti. Poi «al momento opportuno manda un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto e incomincia tutto quello che abbiamo sentito: a uno lo bastonano, a un altro lo picchiano, a un altro lo uccidono». Alla fine «manda suo figlio» ma quei contadini «lo uccidono: così finisce la storia».
In fin dei conti, ha spiegato il Papa, «questa storia che sembra una storia d’amore, che doveva andare avanti con passi d’amore fra Dio e il suo popolo», appare invece «una storia di fallimenti». A tal punto che «Dio — il Padre del popolo, che prende questo popolo per sé perché è un popolo piccolo e lo ama, sogna con amore — sembra fallire». E «questa storia di salvezza ben può essere chiamata storia del fallimento». Ma «il fallimento — ha detto il Pontefice — inizia dal primo momento e anche in questo fallimento del sogno di Dio, dall’inizio, c’è il sangue — il sangue di Abele — e da lì continua: il sangue di tutti i profeti che sono andati a parlare al popolo, ad aiutare a custodire la vigna, fino al sangue del suo Figlio». Però, ha aggiunto Francesco, «c’è alla fine una parola di Dio, che ci fa pensare».
«Che cosa farà dunque il padrone della vigna?» si è chiesto Francesco. E ha risposto: «Verrà e metterà il popolo davanti al giudizio». A questo proposito Gesù dice «una parola che sembra un po’ fuori luogo: “Non avete letto questa Scrittura? La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”». Il Papa ha dunque messo in chiaro che «quella storia di fallimento si rovescia e quello che è stato scartato diviene la forza». Così «i profeti, gli uomini di Dio che hanno parlato al popolo, che non sono stati ascoltati, che sono stati scartati, saranno la sua gloria». E «il Figlio, l’ultimo inviato, che è stato proprio scartato, giudicato, non ascoltato e ucciso, è diventato la pietra d’angolo». Ecco, allora, che «questa storia, che incomincia con un sogno d’amore e sembra essere una storia d’amore, ma poi sembra finire in una storia di fallimenti, finisce con il grande amore di Dio, che dallo scarto tira fuori la salvezza; dal suo Figlio scartato, ci salva a tutti».
Per il Pontefice è un’esperienza bella «leggere nella Bibbia tanti, tanti lamenti di Dio». Del resto, «quando Dio parla al suo popolo dice: “Ma perché fai questo? Ricordati di tutto quello che io ho fatto per te: come ti ho scelto, come ti ho liberato. Ma perché mi fai questo?”». Il Padre, ha rimarcato Francesco, «si lamenta, piange anche». E «alla fine» c’è proprio «quel pianto di Gesù su Gerusalemme: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti”». Questa, ha spiegato, «è la storia di un popolo che non riesce a liberarsi da quella voglia che ha seminato Satana nei primi genitori: diventerete dei». È «un popolo che non sa ubbidire a Dio, perché vuole diventare dio» a sua volta.
Questo atteggiamento lo rende «un popolo chiuso, un popolo nel quale i ministri si irrigidiscono». Perciò, ha notato il Papa, «la fine di questo passo, che abbiamo letto, è triste», perché emerge «la rigidità di quei sacerdoti, di quei dottori della legge: cercavano di catturare Gesù per ucciderlo ma ebbero paura della folla». Infatti «avevano capito che lui aveva detto quella parabola contro di loro». E così «lo lasciarono e se ne andarono».
«La via della nostra redenzione è una strada in cui non mancano tanti fallimenti» ha riconosciuto il Pontefice. Tanto che «anche l’ultimo, quello della croce, è uno scandalo: ma proprio lì l’amore vince». E «quella storia che incomincia con un sogno d’amore, e continua con una storia di fallimenti, finisce nella vittoria dell’amore: la croce di Gesù». Francesco ha invitato a «non dimenticare questa strada», anche se «è una strada difficile». Ma «anche la nostra» è sempre una strada difficile. Così «se ognuno di noi fa un esame di coscienza, vedrà quante volte ha cacciato via i profeti; quante volte ha detto a Gesù: “Vattene!”; quante volte ha voluto salvare se stesso; quante volte ha pensato di essere giusto».
«L’amore di Dio col suo popolo si manifesta nel sacrificio del suo Figlio che adesso celebreremo un’altra volta, veramente», ha detto Francesco prima di riprendere la celebrazione eucaristica. «E quando lui scende sull’altare e noi lo offriamo al Padre — ha aggiunto — ci farà bene fare memoria di questa storia d’amore che sembra fallire, ma alla fine vince». È importante dunque «fare memoria, nella storia della nostra vita, di quel seme d’amore che Dio ha seminato in noi». E di conseguenza «fare quello che ha fatto Gesù a nome nostro: si umiliò». Così anche a noi, ha concluso, «farà bene umiliarci davanti a questo Signore che adesso viene per celebrare con noi il memoriale della sua vittoria».

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