XIII DOM. T.O.
“La mia
figlioletta sta morendo, vieni … perché sia salvata e viva” (Mc 5,23); è l’appello
di un padre che sta per perdere ciò che gli è più prezioso; è il grido
disperato di chi non sa più a chi rivolgersi.
Insieme
a quella voce, riascoltiamo
anche la nostra, che ha chiesto la stessa cosa e
quella di coloro che guardano con orrore alla morte delle persone care. Un
grande scrittore cattolico, Clive
Staples Lewis, noto per “Le Cronache di Narnia”, scrive dopo la
morte dell’amata moglie: “Dov’è Dio? Di
tutti i sintomi, questo è uno dei più inquietanti. Quando sei felice, … se … ti
volgi a Lui per ringraziarlo e lodarlo, vieni accolto … a braccia aperte. Ma
vai da Lui quando il tuo bisogno è disperato, quando ogni altro aiuto è vano, e
che cosa trovi? Una porta sbattuta in faccia, e il rumore di un doppio
chiavistello all’interno. Poi, il silenzio. Tanto vale andarsene. Più aspetti,
più il silenzio ingigantisce. Non ci sono luci alle finestre. Potrebbe essere
una casa vuota. È mai stata abitata? Un tempo, lo sembrava. Ed era una
impressione altrettanto forte di quella di adesso. Che cosa significa?” (C.
SS. Lewis, Diario di un dolore, 5).
A quel padre è stata data la possibilità
di riabbracciare la figlia, ma sappiamo bene che non è e non può essere così
per tutti. Facendo risuscitare la bimba, Gesù di mostra di essere Signore anche
della morte, ma non ci garantisce da questo passaggio. Lui stesso è morto; Sua
Madre lo ha pianto. Sulla morte, rimane un’unica parola di consolazione:
risurrezione. Lewis scrive ancora: “Anni
fa, dopo la morte di un amico, la certezza che la sua vita continuava, che anzi
continuava su un piano più alto, fu per qualche tempo una sensazione
nettissima. Ho supplicato che mi venga data anche solo la centesima parte di
quella assicurazione”. La morte ci rende coscienti di avere un bisogno insaziabile della Grazia di Dio.
Senza il Suo aiuto, sembra impossibile andare avanti.
Gesù però oggi ci parla anche di un’altra
morte, non meno dura: il sentirsi morti mentre si è vivi. L’emorroissa è una che
perde sangue e nella Bibbia il sangue è vita. Questa donna è certamente malata,
ma a noi fa pensare a coloro che, pur essendo fisicamente sani, hanno continue
perdite di vita; non amano vivere, sono infelici, apatici e stanchi. Qualcuno dice:
“Basta la salute”!; quale illusione!
Costei con il vano andirivieni dai vari
medici, ci rimanda a coloro che, proprio perché perdono vita, cercano coloro
che gliela possano ridare, ma, alla fine, li lasciano con il sangue che scorre.
Chi si butta a capofitto nel lavoro, chi si lascia sfiancare dal divertimento e
dalla sensualità; chi si attacca alle macchinette del gioco nei bar del
quartiere; chi cura ossessivamente il suo aspetto fisico; chi mangia in eccesso
o smette di mangiare; chi si affida alle mani e alla mente di uno psicologo;
chi va in cerca di spiritualità, talmente spirituali da essere chiaramente inadeguate
per uomini e donne fatti di carne e ossa; chi si attacca alla bottiglia o alla
droga; chi si affida al mago o alla maga. L’elenco potrebbe continuare a lungo;
cambia il medico, ma dietro vi è la stessa perdita di vita e la sua ricerca.
L’emorroissa è allo stremo delle sue
forze, non ha più nulla, perché i ciarlatani l’hanno lasciata ammalata, ma dissanguata;
è stanca di essere impura e quindi inavvicinabile, per questo si rivolge a
Colui che le dà una nuova speranza. Lo tocca di nascosto, proprio perché non
aveva il diritto di avvicinarsi a nessuno, ma lo tocca. Ecco cosa ci insegna
questa povera donna: Cristo è medicina e medico.
Ascoltiamo allora la parola di Gesù: “Vieni a me, tu che sei stanco e oppresso, e
io ti darò ristoro” (Mt 11,28); “O tu che assetato, vieni all’acqua, tu che non hai denaro, vieni, compra e mangia; vieni, compra senza
denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendi denaro per ciò che non è
pane,il tuo guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltami e mangerai cose buone
e gusterai cibi succulenti. Porgi l’orecchio e vieni a me, ascolta e vivrai”
(Is 55,1ss).
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