Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 9 agosto 2015

Dacci oggi il nostro Pane quotidiano



XIX DOM. T.O.

     In queste ultime settimane abbiamo visto Gesù moltiplicare i pani e i pesci in quantità talmente abbondante da avanzarne addirittura dodici ceste. Chi ha assistito a questo evento e ha gustato il cibo, s’è convinto di avere incontrato finalmente Colui che avrebbe risolto tutti i problemi del popolo. Pensano: ecco uno che toglie la fame; che guarisce gli ammalati; scaccia i demoni e mette fuori gioco i corrotti e inadeguati capi del popolo. In ogni tempo gli uomini cercano e desiderano uno così.

     Gesù però non è molto contento di questa cosa, infatti dice: “In Verità, in verità vi dico che voi mi cercate non perché avete visto dei segni miracolosi, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26). Tutti i miracoli che Gesù compie, sono segni che vogliono fare alzare lo sguardo, mostrare ciò che altrimenti non si vedrebbe. Gesù guarisce alcuni, non per dire che vincerà ogni male e fatica sulla terra, ma che Egli è Signore anche sul male e che questo non avrà la parola definitiva sulla vita degli uomini; scaccia i demoni, per mostrare che il maligno è un fallito, uno sconfitto; moltiplica i pani, non per dire che, con un piano quinquennale, come quelli della F.A.O. sconfiggerà la fame del Terzo Mondo, ma per mostrare che Egli offre l’unico cibo che sazia la fame più profonda degli uomini.
  Durante i quarant’anni di peregrinazione del popolo ebreo attraverso il deserto, Dio è intervenuto ripetutamente anche per le necessità materiali del popolo. Gli antichi ebrei erano rimasti impressionati soprattutto da due interventi straordinari di Dio: “Mosè invocò l'aiuto del Signore … Il Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e và! Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull'Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà” (Es 17,5-7); e il dono della manna: “Al mattino vi era uno strato di rugiada intorno all'accampamento. Poi lo strato di rugiada svanì ed ecco sulla superficie del deserto vi era una cosa minuta e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: “Man hu: che cos'è?”, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: “E' il pane che il Signore vi ha dato in cibo (Es 16,13-15).
     Questi stessi doni vengono elargiti a Elia nel suo “esodo” attraverso il deserto. In realtà egli sta fuggendo dall’ira della regina Gezabele, che vuole ucciderlo per ciò che ha fatto ai  profeti del dio Baal.
     Lo troviamo esausto, prostrato nel corpo e nello spirito, desideroso solo di morire: “Ora basta Signore, prendi la mia vita” (1 Re 19,4). Proprio in questa situazione Dio offre al profeta il nutrimento necessario per proseguire il cammino e quindi portare a termine la sua missione.
     Mentre le cose vanno avanti tranquillamente, spesso ci sentiamo autosufficienti: “Nella mia prosperità ho detto: «Nulla mi farà vacillare!». Nella tua bontà, o Signore, mi hai posto su un monte sicuro; ma quando hai nascosto il tuo volto, io sono stato turbato” (Salmo 30,7ss).
     Quando la vita si fa pesante, è facile abbattersi e chiamare in causa Dio, che appare insensibile: “Forse Dio ci respingerà per sempre, non sarà più benevolo con noi? E' forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? Può Dio aver dimenticato la misericordia, aver chiuso nell'ira il suo cuore? E ho detto: «Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell'Altissimo» (Salmo 77,8ss).
     La Scrittura ci dice oggi che Egli è colui che può risollevarci quando, come Elia, come il popolo pellegrinante, ci sentiamo sfiniti dalla vita.
     Non dobbiamo illuderci però che Gesù Cristo sia una facile e miracolosa soluzione alle difficoltà. Gesù ci offre la strada e il sostegno per affrontare già oggi le tribolazioni dell’esistenza, ma questo comporta una profonda adesione a Lui, un continuo impegno per rimanere uniti a Lui: “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Quando invidiamo coloro che riescono ad attraversare i momenti bui della vita, chiediamoci anche quale rapporto con Dio hanno coltivato.
     Noi vorremmo che Dio fosse a nostro servizio, sempre pronto a tranquillizzarci a risolvere i nostri problemi, a rimediare ai guai che combiniamo; ecc … peccato però che non sempre accettiamo le sue indicazioni. Anche quando abbiamo “fame” e Lui ci offre il suo “pane”, spesso gli diciamo che non ci piace, che preferiremmo qualcosa di diverso e più sostanzioso o gustoso. Chiediamo aiuto da Dio, ma non accettiamo di lasciarci aiutare. E’ come, quando uno va dal medico, perché si sente male, ma non accetta la cura prescrittagli oppure sta a disquisire, dichiarando di conoscere una cura migliore.
     Forse dovremmo ripeterci più spesso le parole di Gesù: “I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,49ss).
     Siamo chiamati a far crescere la nostra fede, perché diventi fiduciosa: “Signore, io mi fido di te, perché so che sei l’inviato del Padre, perché so che conosci il Padre e compi le sue stesse opere”.

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