In
odio alla fede. I particolari del massacro di Aden conducono a questa
sola conclusione. È stata una strage decisa e attuata contro la sola
presenza cristiana nello Yemen. Le suore uccise, e la cappella, il
crocefisso, il tabernacolo, tutto metodicamente distrutto.
Erano le 8,30 di venerdì mattina, e alla Mother Theresa’s house gli ottanta ospiti, vecchi e disabili, fra cui anche bambini, stavano facendo colazione. I terroristi sono arrivati davanti all’edificio, che, nonostante le minacce già ricevute dalle suore, non era difeso nemmeno da un soldato. È stato facilissimo entrare, armi in pugno, e sorprendere le quattro sorelle e il personale dell’istituto: cuoche, infermiere, volontari, sia yemeniti che etiopi, diversi dei quali cristiani.
L’unica sopravvissuta alla strage è suor Sally, la superiora. Per un caso in quel momento si trovava in dispensa, e ha sentito l’autista che urlava, in inglese: «Nascondetevi, ci ammazzano», e poi uno sparo. L’uomo era già stato ucciso. La suora è rimasta, impietrita, dov’era, dietro a una porta, e incredibilmente gli assassini non l’hanno vista. «Vogliamo ammazzare i cristiani», ha gridato uno di loro. Poi tutti i presenti nella sala sono stati portati fuori, in giardino. Si sono sentite grida, e altri spari, cadenzati, uno dopo l’altro, e poi altri ancora, e poi il silenzio. Quando la polizia yemenita è arrivata, ha trovato sul terreno quindici morti: le suore e undici collaboratori. Questi ultimi sono stati tutti finiti con un colpo alla tempia, una autentica esecuzione. Le sorelle invece – suor Annselna, 57 anni, indiana, suor Margarita, 44 anni, ruandese, suor Reginette, 32 anni, pure ruandese, e suor Judith, 41 anni, keniota – sono state colpite al volto e sfigurate, e poi uccise.
Cadute a terra, prone, il loro corpi sono stati calpestati, i volti schiacciati a forza contro il suolo. Si stenta a scrivere questi particolari, che raccontano di un odio senza limiti. Nelle foto da Aden, le suore indossano ancora, sopra la veste bianca, il grembiule blu con cui servivano i malati. Uccise nell’atto di servire i poveri: è un vero martirio, quello di Aden, il secondo nel Paese, dopo che nel 1998 a Hodeidah altre tre consorelle erano state ammazzate a bastonate, mentre si recavano a far servizio in ospedale. Ma, compiuta la carneficina, gli assassini non erano ancora soddisfatti.
Sono rientrati nell’istituto e sono andati nella cappella, dove il salesiano Tom Uzhunnalil, 57 anni, un prete che da anni condivideva l’opera delle suore, stava pregando. Raffiche di spari, ancora: molti colpi, contro il crocefisso, sull’altare, sul tabernacolo, nel quale non sono poi state trovate più le ostie consacrate. Il messale e la Bibbia sono stati ridotti in brandelli. Il salesiano è stato rapito, e ad oggi non se ne hanno più notizie. Compiuta la strage, il commando se ne è andato indisturbato. Ora suor Sally, la superiora sopravvissuta, è stata portata fuori dallo Yemen. Nella casa sono rimasti solo gli ottanta ospiti, che per un giorno si sono rifiutati di mangiare. Smarriti chiedevano, come bambini, di essere imboccati dalle loro suore.
Al momento sono assistiti dal personale di Médecins Sans Frontières, presente con un suo centro a Aden. Madre Sally all’arrivo della polizia si è rifiutata di abbandonare i corpi delle sue sorelle, e ha preteso che fossero portati via insieme a lei. Ora sono all’ospedale pub- blico di Aden, e si spera di poterle seppellire nel cimitero inglese della città, accanto alle tre sorelle uccise a Hodeidah. Ma in quell’ospedale arrivano ogni giorno decine di vittime della guerra, e si teme perfino che sia difficile evitare che le salme delle suore si confondano, nel gran numero di morti. Questi particolari, raccontati a Avvenire da una nostra fonte a Aden, raccontano di un martirio dei nostri giorni. Nell’assenza di qualsiasi protezione da parte del governo oggi al potere nella città, quello del presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita.
Le suore di Madre Teresa, minacciate, avevano deciso di restare. Fedeli alle parole della fondatrice: «Vivere, e morire, con i poveri». E dalla Casa madre dell’Ordine, a Calcutta, arriva l’annuncio che le suore di Madre Teresa non abbandoneranno lo Yemen, dove hanno altre tre case, a Sanaa. Una ostinata volontà di rimanere accanto agli ultimi, che ha fatto sì che le suore siano molto amate dalla popolazione. Per loro la gente di Aden è scesa in strada, per protesta, davanti al Dipartimento della sicurezza. Chi ha compiuto la strage? Al-Qaeda si dice estranea. Daesh allora? Un massacro in odio dei cristiani. Ne ha parlato il Papa, all’Angelus: «Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi, e anche dell’indifferenza». L’indifferenza, già: sabato, nessun quotidiano italiano, tranne questo e L’Osservatore Romano, aveva una sola riga in prima pagina sulla carneficina di Aden.
Erano le 8,30 di venerdì mattina, e alla Mother Theresa’s house gli ottanta ospiti, vecchi e disabili, fra cui anche bambini, stavano facendo colazione. I terroristi sono arrivati davanti all’edificio, che, nonostante le minacce già ricevute dalle suore, non era difeso nemmeno da un soldato. È stato facilissimo entrare, armi in pugno, e sorprendere le quattro sorelle e il personale dell’istituto: cuoche, infermiere, volontari, sia yemeniti che etiopi, diversi dei quali cristiani.
L’unica sopravvissuta alla strage è suor Sally, la superiora. Per un caso in quel momento si trovava in dispensa, e ha sentito l’autista che urlava, in inglese: «Nascondetevi, ci ammazzano», e poi uno sparo. L’uomo era già stato ucciso. La suora è rimasta, impietrita, dov’era, dietro a una porta, e incredibilmente gli assassini non l’hanno vista. «Vogliamo ammazzare i cristiani», ha gridato uno di loro. Poi tutti i presenti nella sala sono stati portati fuori, in giardino. Si sono sentite grida, e altri spari, cadenzati, uno dopo l’altro, e poi altri ancora, e poi il silenzio. Quando la polizia yemenita è arrivata, ha trovato sul terreno quindici morti: le suore e undici collaboratori. Questi ultimi sono stati tutti finiti con un colpo alla tempia, una autentica esecuzione. Le sorelle invece – suor Annselna, 57 anni, indiana, suor Margarita, 44 anni, ruandese, suor Reginette, 32 anni, pure ruandese, e suor Judith, 41 anni, keniota – sono state colpite al volto e sfigurate, e poi uccise.
Cadute a terra, prone, il loro corpi sono stati calpestati, i volti schiacciati a forza contro il suolo. Si stenta a scrivere questi particolari, che raccontano di un odio senza limiti. Nelle foto da Aden, le suore indossano ancora, sopra la veste bianca, il grembiule blu con cui servivano i malati. Uccise nell’atto di servire i poveri: è un vero martirio, quello di Aden, il secondo nel Paese, dopo che nel 1998 a Hodeidah altre tre consorelle erano state ammazzate a bastonate, mentre si recavano a far servizio in ospedale. Ma, compiuta la carneficina, gli assassini non erano ancora soddisfatti.
Sono rientrati nell’istituto e sono andati nella cappella, dove il salesiano Tom Uzhunnalil, 57 anni, un prete che da anni condivideva l’opera delle suore, stava pregando. Raffiche di spari, ancora: molti colpi, contro il crocefisso, sull’altare, sul tabernacolo, nel quale non sono poi state trovate più le ostie consacrate. Il messale e la Bibbia sono stati ridotti in brandelli. Il salesiano è stato rapito, e ad oggi non se ne hanno più notizie. Compiuta la strage, il commando se ne è andato indisturbato. Ora suor Sally, la superiora sopravvissuta, è stata portata fuori dallo Yemen. Nella casa sono rimasti solo gli ottanta ospiti, che per un giorno si sono rifiutati di mangiare. Smarriti chiedevano, come bambini, di essere imboccati dalle loro suore.
Al momento sono assistiti dal personale di Médecins Sans Frontières, presente con un suo centro a Aden. Madre Sally all’arrivo della polizia si è rifiutata di abbandonare i corpi delle sue sorelle, e ha preteso che fossero portati via insieme a lei. Ora sono all’ospedale pub- blico di Aden, e si spera di poterle seppellire nel cimitero inglese della città, accanto alle tre sorelle uccise a Hodeidah. Ma in quell’ospedale arrivano ogni giorno decine di vittime della guerra, e si teme perfino che sia difficile evitare che le salme delle suore si confondano, nel gran numero di morti. Questi particolari, raccontati a Avvenire da una nostra fonte a Aden, raccontano di un martirio dei nostri giorni. Nell’assenza di qualsiasi protezione da parte del governo oggi al potere nella città, quello del presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, sostenuto dall’Arabia Saudita.
Le suore di Madre Teresa, minacciate, avevano deciso di restare. Fedeli alle parole della fondatrice: «Vivere, e morire, con i poveri». E dalla Casa madre dell’Ordine, a Calcutta, arriva l’annuncio che le suore di Madre Teresa non abbandoneranno lo Yemen, dove hanno altre tre case, a Sanaa. Una ostinata volontà di rimanere accanto agli ultimi, che ha fatto sì che le suore siano molto amate dalla popolazione. Per loro la gente di Aden è scesa in strada, per protesta, davanti al Dipartimento della sicurezza. Chi ha compiuto la strage? Al-Qaeda si dice estranea. Daesh allora? Un massacro in odio dei cristiani. Ne ha parlato il Papa, all’Angelus: «Questi sono i martiri di oggi! Non sono copertine dei giornali, non sono notizie: questi danno il loro sangue per la Chiesa. Queste persone sono vittime dell’attacco di quelli che li hanno uccisi, e anche dell’indifferenza». L’indifferenza, già: sabato, nessun quotidiano italiano, tranne questo e L’Osservatore Romano, aveva una sola riga in prima pagina sulla carneficina di Aden.
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