Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

giovedì 24 marzo 2016

Lava i miei piedi



 GIOVEDI’ SANTO

     Sono passati circa tre anni da quando Gesù ha chiamato questi dodici uomini a seguirlo. Con Lui hanno condiviso davvero tutto. Di loro ha desiderato fare degli apostoli (dal gr. apóstolos, deriv. di apostéllein ‘spedire, inviare’). 
    Proviamo a guardarli intorno a quella tavola:


-          Giuda Iscariota  accompagnerà a breve coloro che cattureranno Gesù; lo bacerà e lo venderà per 30 denari;
-          Pietro fingerà di non conoscere Gesù e lo lascerà solo;
-          Giacomo e Giovanni, cercando di scavalcare gli altri, avevano mandato avanti la madre a chiedere a Gesù posti di potere nel Suo Regno;
-          gli altri apostoli discutono tra loro su chi è da considerarsi il più grande tra di loro (Lc 22,14ss);
-          ci risulta che, sotto la croce ci fosse solo Giovanni e che, della sepoltura se ne occupò Giuseppe d’Arimatea che non era del gruppo.

     Tutto sommato non sembra un gran risultato. Eppure li ha scelti Gesù, dopo avere pregato, ed è  proprio a questi che lava i piedi. Del resto, come scrive san Paolo: “quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio”  (1Cor 1,27ss).
     In realtà il gruppo dei Dodici, in qualche modo ci consola e, non perché la mediocrità debba essere la norma per noi Cristiani. Oggi anche noi siamo intorno alla stessa tavola con Gesù; anche noi siamo Suoi da molti anni, eppure, se ci guardiamo nel cuore con sincerità, facilmente troveremo tradimenti, paure, ipocrisie, bisogno di emergere ecc … Gesù non si scandalizza neanche di noi, perché proprio per questo è qui; vuole trasformare la nostra vita, desidera lavare i piedi proprio a noi. Egli sa che, come gli Apostoli sono “maturati” grazie al Suo amore paziente, così potremo fare anche noi. Papa Francesco ce lo ha ricordato: “L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli (EG 47).
     Non ci esclude dalla tavola perché non siamo adeguati, ma ci tiene a tavola con sé affinché
con Lui diventiamo nuove creature.
     Egli si lascia mangiare da noi - ce lo ha appena ripetuto:  Questo è il mio corpo” (1Cor 11,24); non è apparenza, non è simbolo, Egli è realmente presente in quel pane  e in quel vino (per questo ci inginocchiamo alla Sua presenza) -, affinché ci trasformiamo in Lui. Non è un’esagerazione, ma la nostra vocazione comune.
     Per questo l’Eucaristia ci impegna. Non siamo qui per vivere qualcosa che deve solamente piacerci, ma per essere lentamente plasmati, perché “il Verbo vuole farsi carne in noi, impadronendosi di noi, perché col suo spirito comunicante col nostro spirito, noi diamo un inizio nuovo alla sua vita in un altro luogo, in un  altro tempo, in un’altra società umana” (M. Delbrel,  La gioia di credere,  30). Ricordo che in passato una persona con la quale stavo discutendo, mi disse: “Tu sei il mio Gesù”; anche se viveva abbastanza lontana dalla Chiesa  e in quel momento mi stava sgridando, le sue parole erano profondamente vere. In quel momento Cristo voleva incontrarla in me e lei voleva incontrare Gesù attraverso di me.
     Quando ce ne torniamo a casa dall’Eucaristia dobbiamo chiederci, non tanto o non solo, se ci è piaciuta grazie ai canti e alla predica (tutto importante ovviamente), ma quanto ha inciso; se mi sta facendo nuovo, pur nella permanenza del limite umano e del peccato non ancora pienamente vinto.
     Nella liturgia i segni devono essere curati, tutto deve essere bello, perché ci deve aiutare a riconoscere che stiamo vivendo un momento in cui la SS. Trinità, la Vergine Maria, gli angeli e i santi sono tutti presenti con noi, ma non per un mero godimento, bensì per generare una nuova creatura.
     L’Eucaristia ci spinge a immergerci profondamente nella vita; ci fa amare il mondo con le sue contraddizioni e gli uomini con tutti i loro problemi; ci fa sentire l’esigenza di santità e di essere medici per i fratelli. Il lavare i piedi è conseguenza inevitabile dell’Eucaristia. Non basta il segno di questa sera, con la nuova presenza delle donne; tutto questo è sprecato, se non ci spinge a lavare i piedi di coloro che il Signore ci mette sulla strada.
     L’Eucaristia è la vera rivoluzione capace di cambiare il mondo, perché crea uomini nuovi che  portano la novità dove vivono.

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