Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 15 ottobre 2016

Dammi uno che ami, e capirà


XXIX DOM. T.O.


     Bisogna pregare sempre, con tale insistenza da far cedere Dio? La preghiera è un’arma per “sconfiggere” il Signore, per costringerLo a prestarci attenzione e soddisfazione?


          In realtà solo una lettura affrettata e superficiale può farci giungere a questa conclusione. Basta leggere che questo giudice non “aveva riguardo per alcuno” (Lc 18,2), per comprendere che non possiamo troppo facilmente applicare al Signore i connotati di quest’uomo. Come si può pensare all’indifferenza di Dio, quando Dio stesso “si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”? L’indifferenza tiene profondamente separati; l’amore invece avvicina e unisce.

     Il paragone della parabola è evidente; Gesù ci dice che, se un uomo duro e gretto, può essere convinto a compiere il suo dovere grazie all’insistenza, quanto più il Signore, che è Padre e ama infinitamente ognuno ascolterà il grido che scaturisce dal cuore di ognuno dei Suoi figli.

     Allora a cosa serve pregare se Dio conosce ciò di cui abbiamo bisogno prima ancora chi glieLo chiediamo (Mt 6,7s) ed è costantemente in ascolto?

     Bisogna chiarirsi su cos’è la preghiera e tutto diventa più chiaro. Essa non è la petizione a un potente per ottenere ciò che di cui si ha bisogno, ma una parola d’amore, l’espressione di un desiderio di comunione. Si prega per stare con Dio e non per ottenere qualcosa da Dio. E’ evidente, in una relazione d’amore c’è anche la richiesta di soccorso, ma guai se si limitasse a questo. Nessuno di noi si sente amato da chi ci cerca solo per ottenere qualcosa; questi si chiamano approfittatori, non amici.

     Proprio per questo la preghiera è un indicatore formidabile del desiderio di Dio. Chi ama cerca e non può stare a lungo senza la persona amata. Scrive sant’Agostino: “Dammi uno che ami, e capirà quello che sto dicendo. Dammi uno che arda di desiderio, uno che abbia fame, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, uno che sospiri alla fonte della patria eterna, dammi uno che sperimenti dentro di sé tutto questo ed egli capirà la mia affermazione” (Agostino, Trattato su Giovanni, 26,4-6).

     Come pregare, dove pregare, quando pregare è un problema tutto sommato secondario, quando c’è il desiderio; viceversa quando manca il desiderio, ci si aggrappa continuamente alla mancanza di tempo, all’inadeguatezza del luogo  e del metodo. Solo per chi ama Dio di un amore concreto, pregare sempre è necessario.

     Non tutti quelli che pregano amano Dio, ma quelli che non pregano, amano Dio?

     Gesù ci presenta subito un caso in cui ci si accorge che non sempre la preghiera spalanca il cuore al Signore. Questo Fariseo si pone davanti a Dio, ma sa parlare solo di sé e criticare il prossimo. Riascoltiamo la preghiera e ci accorgiamo che sta dicendo al Signore: “Grazie perché mi hai fatto così bello e bravo”. Il cuore della sua preghiera non è Dio, ma se stesso. Chi ama non guarda a sé, ma all’amato. Più una preghiera è egocentrica e meno Dio c’entra, anche se è prolungata all’inverosimile e curata nei minimi dettagli.

     Quando la preghiera ci decentra, ci spalanca il cuore verso gli altri e ci fa conoscere a noi stessi in profondità, vuol dire che essa sta crescendo e Dio è presente. Ebbene si! Il Pubblicano non chiede nulla se non misericordia, perché è ben consapevole di essere un peccatore. Il suo rapporto con Dio gli ha fatto vedere con chiarezza la propria condizione. Altro che preghiera emozionale! Dove tutto è centrato su se stessi e il bisogno di piacere. Laddove si cerca l’emozione, Dio non è che il mezzo per ottenerla, ma questa non è preghiera, è ricerca di piacere.

     Signore portaci con Te nel deserto e parla al nostro cuore; seduci la nostra anima, così che la preghiera diventi per noi una necessità. Mostraci la Tua bellezza; facci sentire che Tu non sei una gabbia di precetti, ma la via vera della vita.

    








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