Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 22 ottobre 2016

Tutto dipende dal confronto


XXX DOM. T.O.



      Il Fariseo è intimamente convinto di essere giusto, buono e gradito a Dio; anche il suo corpo, così eretto, in prima fila, parla.


     Come si fa ad arrivare a una situazione del genere; a mettersi davanti a Dio con tanta presunzione?

     Basta non avere altro confronto che con se stessi; basta mettersi davanti allo specchio e innamorarsi di sé, come Narciso che, a forza di specchiarsi nell’acqua, vi è caduto dentro ed è annegato.

     Quanto è pericoloso non avere altro confronto che con sé, perché, se da una parte c’è il rischio di “innamorarsi di sé”, dall’altra si può arrivare a odiarsi. Infatti l’immagine riflessa, può essere profondamente diversa a quella ideale che ci si è fatti o che altri ci hanno proposta. Quando è così, nasce un profondo senso di colpa; ci sentiamo tristi e infelice, perché inadeguati; ci fa costantemente rincorrere un modello che, invece, non ci appartiene.

     Per conoscerci abbiamo bisogno del  confronto con l’altro.

     Martedì sera abbiamo ascoltato la testimonianza di una suora Saveriana (suor Angela); abbiamo contemplato, rapiti, il suo sguardo, mentre condivideva con noi la sua storia, fatta di fatiche, dolore e tanta passione. Davanti a lei mi sono sentito piccolo, con tanta strada da fare, con ancora molto da dare, prima di poter dire che la mia vita è davvero donata.

     Chi si mette a confronto col “peggio”, si sentirà sempre a posto. In questo modo, anche la mediocrità può diventare bene. Chi si muove così, però, rischia di rimanere fermo, soddisfatto di sé, ma senza andare da nessuna parte.

     Scrive santa Chiara a sant’Agnese da Praga: “Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui” (Lettera III). Ecco allora che tutto cambia. Quando Dio, attraverso Gesù, diventa lo specchio in cui ci guardiamo, come è possibile sentirsi giusti, innamorarsi della propria evangelicità?

     Abbiamo perso il senso del peccato, mentre è cresciuto a dismisura il senso di colpa, perché non ci poniamo più davanti a Dio, se non in un rapporto fugace e superficiale. Ora capiamo perché Gesù ha posto queste parole dopo il discorso sulla “necessità di pregare sempre”.

     Il Pubblicano invece, certamente ha avuto un incontro con Dio. Il Signore è riuscito a fare luce nella vita di quel suo figlio. Finalmente egli si è conosciuto, ha visto con verità la sua vita, ed è fiorita in lui la sofferenza. Non un dolore fine a se stesso  - tipico del senso di colpa -, ma una presa di coscienza capace di generare in lui il cambiamento. La sofferenza provocata da Dio è terapeutica.

Perché terapeutica?

     Perché il Signore non ci mostra a noi stessi per ferirci – come facciamo noi quando spariamo in faccia certe parole agli altri, per farli sanguinare -, ma perché si sciolga il ghiaccio interiore, si rompa la durezza del cuore. Il Salmista scrive che “il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato” (Salmo 33); è il cuore di chi piange per la fatica, ma anche di colui che, grazie all’azione divina ha raggiunto la contrizione del cuore. Il cuore contrito è il cuore sbriciolato. Il Pubblicano si batte il petto e questo è il gesto del pentimento, della frantumazione del cuore di pietra. Nascosto sotto questa durezza c’è la vera natura, il cuore di carne. Dio l’ha promesso: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”.

     Signore rompi lo specchio nel quale contempliamo la nostra immagine; aiutaci a metterci davanti a Te, allo specchi della Tua croce; aiutaci a non accontentarci mai, così che possiamo camminare verso le profondità della vita evangelica.

Nessun commento:

Posta un commento