EPIFANIA
Si sta diffondendo un nuovo tipo di automobile, con il pilota automatico: basta programmarla e
conduce alla meta prescelta.
Gli orologi “camminano” come devono; ogni 12 ore fanno il giro di tutto
il quadrante. Nulla cambia nel loro processo e fanno molto bene il loro dovere.
A volte la nostra esperienza di fede è paragonabile a queste due
“macchine”: procede regolarmente, magari perché è stata “programmata” dai
genitori; fa fare ciò che si deve fare, ma sembra non avere nessuna vita o
quanto meno, nessun palpito di passione.
Ci accorgiamo dell’inadeguatezza di questa fede, quando la tenebra
comincia a invadere il nostro orizzonte. C’è un Salmo a me molto caro che dice:
“Ho detto, nella mia sicurezza: “Mai
potrò vacillare!”. Nella tua bontà o Signore mi avevi posti sul mio monte
sicuro; il tuo volto hai nascosto e lo spavento mi ha preso” (Salmo 30, 8s); in parole molto semplici, il
salmista sta dicendo che si è sentito invincibile fino a quando le cose gli
sono andate bene, ma appena qualcosa nella sua vita è entrato in crisi, si è
sentito debole e perduto. E’ lo stesso pericolo che annuncia Gesù con la
parabola della casa costruita sulla sabbia e quella sulla pietra: entrambe sono
sottoposte a forti fenomeni naturali, ma una crolla e l’altra, invece, pur
essendo colpita e scossa, rimane solida.
Abbiamo appena incontrato uomini con una fede probabilmente immatura, ma
viva e ardente. Dopo averli incontrati, facciamo fatica a rientrare nel
tranquillo tran tran che, ci fa accontentare di ripercorrere costantemente le
stesse strade e, ripetere gesti e parole
di cui spesso non conosciamo il senso. Quanta gente si tiene lontana da Dio,
nella convinzione che offra solo cose scontate e che puzzano di muffa. Forse anche
noi siamo responsabili di questa visione errata, perché noi stessi, invece di
profumare di Cristo, portiamo in giro un vago sentore di vecchio, come quando
si aprono gli armadi delle nonne, piene di naftalina.
I Magi ci lasciano inquieti, perché ci sono testimoni di una fede che non si accontenta del già
sentito, ma che si fa ricerca. I verbi di questi saggi o Re, sono: desiderare,
camminare, sfidare la fatica e la paura.
Essi si sono lasciati
sorprendere da Dio. Probabilmente, in quanto astronomi e sapienti, sapevano
moltissime cose su di Lui e, mai avrebbero immaginato che, avrebbe scelto la
debolezza di un bambino per manifestarsi. Forse i loro ragionamenti e le loro
conoscenze affermavano addirittura l’impossibilità di un fatto del genere, ma
non si sono lasciati fermare; hanno accettato che le vie di Dio sono bene
diverse dalle vie degli uomini. Se i Magi, una volta giunti a Betlemme, davanti
a quella scena di miseria, si fossero messi a ridere o avessero liquidata come
assurda la pretesa che quel bimbo fosse Dio, nulla sarebbe cambiato nella loro
esistenza.
Quante volte rischiamo di non riconoscere la presenza di Dio, per il
fatto che non sceglie i nostri canoni e va oltre i nostri schemi limitati e ci
perdiamo in banali discussioni tra ciò che è progressista e ciò che è
tradizionalista; preconciliare o post-conciliare; moderno o superato? Siamo
sicuri che Dio c’entri in queste categorie? Potessimo dire invece con Giobbe: “Ho esposto cose che non capisco, cose troppo
meravigliose per me, che non comprendo. … Io ti conoscevo per sentito dire, ma
ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,3;5).
I Magi ci spingono a muoverci, a lasciarci dietro le spalle una fede
statica, senza domande e senza ricerca di risposte. Possiamo scegliere di
andare dietro a loro, come loro hanno seguito la stella, per andare in cerca di
Gesù: essi ci chiamano.
Andare in cerca di Gesù, significa desiderare con tutto il cuore che,
Egli diventi il fondamento della nostra esistenza. Chi incontra Gesù, non può
più separare la fede dalla vita; sa che non esiste una distinzione tra spazio
sacro e profano (dove Dio è escluso), perché tutto è sacro, nel senso che, Gesù
chiede di entrare in tutte le pieghe della nostra quotidianità.
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