Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

mercoledì 30 maggio 2018

Esiste un solo bene, la conoscenza


SS. TRINITA’

      “Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l"ignoranza” (Diogene Laerzio citando Socrate, Vite dei filosofi).    

      Noi conosciamo la verità, non solamente con la ragione, ma anche con il cuore. … Ed è … inutile o … ridicolo che la ragione chieda al cuore prove dei suoi principi, per volervi dare il proprio consenso, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proposizioni che essa dimostra, per volerle accettare  (Blaise Pascal, Pensieri 479). Per esperienza personale, sappiamo che, quando si ama qualcuno, si riescono a vedere delle cose che, agli altri rimangono nascoste. “Al cuor non si comanda”, afferma la sapienza popolare, ma possiamo anche aggiungere: “al cuor non si nasconde nulla”. Ricordo come mia madre riuscisse “misteriosamente” a sapere di me delle cose   che apparentemente avrei dovuto sapere solo io.
     C’è anche una conoscenza per intuizione, dal latino in – dentro e tuitus – guardare , indica la “conoscenza diretta e immediata di una verità, che si manifesta allo spirito senza bisogno di ricorrere al ragionamento(Dizionario etimologico Treccani); è una sorta di evidenza che si manifesta al nostro spirito, indipendentemente da ogni nostra azione.
     Esiste una conoscenza attraverso la coscienza. Anche quando i ragionamenti sembrano darci ragione su ciò che abbiamo detto o fatto, questa voce interiore grida più forte e ci mostra la verità. Dostoevskij lo mostra in maniera straordinaria in “Delitto e castigo”: “Raskòlnikov stette a giacere molto tempo nel letto. Di tanto in tanto gli  pareva di svegliarsi, e in quei momenti si accorgeva che era già notte da un  pezzo, ma non gli veniva in mente di alzarsi. Infine notò che era già chiaro come di giorno. Egli stava disteso sul divano bocconi , ancora intormentito dal recente sopore. Giungevano fino a lui nettamente, dalla strada, urla terribili e disperate che, però, egli sentiva ogni notte sotto le sue finestre, dopo  le due. Esse lo risvegliarono anche allora: «Ah! Ecco già gli ubriachi che escono dalle bettole – pensò – sono le due passate», e d’un tratto saltò su, come se qualcuno lo avesse strappato dal divano. «Come! Già le due passate!» Sedette sul divano – e allora ricordò tutto! Improvvisamente, in un solo istante ricordò tutto! Nel primo momento credette d’impazzire. Un terribile freddo lo invase; ma il freddo proveniva anche dalla febbre che già da un pezzo era cominciata durante il sonno. Allora fu preso d’un tratto da tali brividi che per poco i suoi denti non si misero a sbattere e tutto in lui sembrò vacillare”. Il cognome di Raskòlnikov è simbolico, deriva infatti da un verbo russo che significa “dividere” e sottolinea il conflitto lacerante del protagonista che, dopo avere architettato un furto nei confronti di una arcigna strozzina, compie  un duplice delitto e vive un drammatico senso di colpa con la conseguente ansia di espiazione.
     Si può conoscere poi per rivelazione, dal latino revelare composto di re- 'indietro' e velum 'velo', da cui togliere il velo, togliere ciò che nasconde. Prima ancora di pensare a una rivelazione divina, sappiamo che ci sono rivelazioni da parte di persone e ciò è  fonte di conoscenza quanto più la persona è affidabile. Ci sono alcuni la cui parola è credibile e altri a cui non diamo peso, perché non credibili.
      Vi ho detto tutte queste cose per mostrare quando è falsa o, quantomeno limitata, la convinzione secondo la quale sarebbe vero solo ciò che è dimostrato dalla ragione e dall’intelligenza umana.
     Questo significa che non possiamo accostarci alla Trinità - il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, lo stesso Dio in tre persone -, con la sola intelligenza. Rileggiamo un breve racconto duecentesco che ha per protagonista s. Agostino: “Un giorno, sant’Agostino in riva al mare meditava sul mistero della Trinità, volendolo comprendere con la forza della ragione. S’avvide allora di un bambino che con una conchiglia versava l’acqua del mare in una buca. Incuriosito dall'operazione ripetuta più e più volte, Agostino interrogò il bambino chiedendogli: «Che fai?» La risposta del fanciullo lo sorprese: «Voglio travasare il mare in questa mia buca». Sorridendo Sant'Agostino spiegò pazientemente l’impossibilità dell’intento ma, il bambino fattosi serio, replicò: «Anche a te è impossibile scandagliare con la piccolezza della tua mente l'immensità del Mistero trinitario».
     La Trinità possiamo accoglierla innanzitutto perché ce l’ha rivelata Gesù stesso, colui che è la Verità e che è fedele. La conosciamo solamente in una relazione d’amore con Dio e non in un semplice approccio culturale o in una spiritualità che non crea mai l’incontro con Lui. Solo in questo modo Egli potrà parlare al nostro cuore e mostrarci con assoluta evidenza il Suo mistero. “L’ultimo passo della ragione è il riconoscere che vi sono un’infinità di cose che la sorpassano. Essa è proprio debole, se non giunge fino a conoscere questo” (Blaise Pascal). Se la ragione umana è posta di fronte a realtà che la superano, la fede permette di accedervi, ponendosi “al di sopra, e non contro” la ragione.









La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso (Fide set ratio)
I sarcofaghi degli inizi del cristianesimo illustrano visivamente questa concezione – al cospetto della morte, di fronte alla quale la questione circa il significato della vita si rende inevitabile. La figura di Cristo viene interpretata sugli antichi sarcofaghi soprattutto mediante due immagini: quella del filosofo e quella del pastore. Per filosofia allora, in genere, non si intendeva una difficile disciplina accademica, come essa si presenta oggi. Il filosofo era piuttosto colui che sapeva insegnare l'arte essenziale: l'arte di essere uomo in modo retto – l'arte di vivere e di morire. Certamente gli uomini già da tempo si erano resi conto che gran parte di coloro che andavano in giro come filosofi, come maestri di vita, erano soltanto dei ciarlatani che con le loro parole si procuravano denaro, mentre sulla vera vita non avevano niente da dire. Tanto più si cercava il vero filosofo che sapesse veramente indicare la via della vita. Verso la fine del terzo secolo incontriamo per la prima volta a Roma, sul sarcofago di un bambino, nel contesto della risurrezione di Lazzaro, la figura di Cristo come del vero filosofo che in una mano tiene il Vangelo e nell'altra il bastone da viandante, proprio del filosofo. Con questo suo bastone Egli vince la morte; il Vangelo porta la verità che i filosofi peregrinanti avevano cercato invano. In questa immagine, che poi per un lungo periodo permaneva nell'arte dei sarcofaghi, si rende evidente ciò che le persone colte come le semplici trovavano in Cristo: Egli ci dice chi in realtà è l'uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo. Egli ci indica la via e questa via è la verità.

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