Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 29 luglio 2018

Segni, non miracoli



XVII DOM. T.O.

     “Lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi (Gv 6,2); “la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!” (6,14); “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (6,26). Si parla di segno/i, invece che di miracoli.
Il miracolo è un fatto straordinario che, rischia di trattenere l’attenzione su di sé; il segno, invece indica altrove, spinge lo sguardo da un’altra parte; rimanda a colui che lo ha compiuto e dice qualcosa di lui. Non per niente Gesù rimprovera ai Suoi ascoltatori che sono lì, non per Lui, ma per ricevere ancora cibo.
     Qui allora è importante ascoltare cosa ci dice di Gesù la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Dobbiamo lasciare parlare il segno e permettergli di mostrarci la verità nascosta del Signore.
    Innanzitutto in quel luogo, sulla montagna (in realtà è poco più che una collina), c’era molta erba, perché il Signore è il buon pastore che conduce le Sue pecore verso i pascoli migliori. Gesù è il buon pastore da seguire.
     C’è ancor di più: “Signore, tu sei il mio Dio; voglio esaltarti e lodare il tuo nome, perché hai eseguito progetti meravigliosi, concepiti da lungo tempo, fedeli e stabili. … Perché tu sei sostegno al misero, sostegno al povero nella sua angoscia, riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo; …  Tu mitighi l’arsura con l’ombra di una nube, l’inno dei tiranni si spegne. Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.   Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato” (Is 25,1ss). La moltiplicazione dei pani e dei pesci, richiama quel banchetto abbondante che parla della cura che Dio ha per il Suo popolo, ora e nell’eternità. Gesù è Dio che sta dalla parte dell’uomo per saziare la sua esistenza, per far si che la sua vita sia piena. Dio è venuto in Gesù, per realizzare definitivamente il Suo progetto sulla storia. E’ Lui il protagonista, non la tavola imbandita. La tavola ci rimanda a Lui.
     Padre, donaci occhi capaci di vedere oltre l’apparente, affinché non si dica anche di noi: “una patina impedisce ai loro occhi di vedere e al loro cuore di capire” (Is 44,18).
     Come non riconoscere l’Eucaristia in trasparenza nei gesti e nelle parole di Gesù. Essa è frutto della compassione di Dio per noi che ci troviamo a camminare in “questa valle di lacrime”. Egli sa che senza di Lui non riusciamo a procedere spediti. Egli si è fatto cibo, perché noi potessimo vivere. Guai a banalizzare l’Eucaristia; guai a credere che sia indifferenti vivere l’Eucaristia. E’ l’illusione diabolica che, in questo modo vuole renderci deboli e più facilmente attaccabili.
     In fine Gesù è la manifestazione della compassione di Dio per l’uomo. Gesù vuole contagiarci con questo sentimento potente che stringe lo stomaco come una morsa che,  impedisce di essere testimoni inermi e costringe ad agire. La compassione cristiana è operativa e non mette avanti i limiti e le difficoltà. Prima di dire: “E’ troppo difficile”, grida: “Cosa posso fare?”. La compassione porta inevitabilmente alla carità che è amore in atto, concreto, fattivo. La carità non consente di stare a guardare dalla finestra, ma fa scendere in strada; non fa passare dall’altra parte, ma costringe a fermarsi. La carità è proporzionata alla compassione.
     Signore Gesù ogni giorno ci porti con Te sul monte e Ti fai cibo per noi, non perché ne restiamo annoiati, ma affinché la nostra esistenza diventi vita; il cuore trabocchi di carità capace di trasformare i luoghi e il tempo in cui viviamo. Ti ringraziamo Signore per averci aperti gli occhi e Ti chiediamo perdono perché non sempre sappiamo rispondere in pienezza ai Tuoi doni.


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