V DOM. T.O.
“Come lo schiavo sospira l’ombra … così a me sono toccati mesi d’illusione … La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. … I miei giorni scorrono più veloci di una spola, svaniscono senza un filo di speranza” (Gb 7,6). A queste parole di Giobbe, fanno eco quelle di un cantante che ha posto fine alla sua esistenza con un colpo di pistola:
“Un giorno dopo l'altro
Il
tempo se ne va
Le strade sempre uguali,
Le stesse case.
Un giorno dopo l'altro
E tutto è come prima
Un passo dopo l'altro,
La stessa vita.
E gli occhi intorno cercano
Quell'avvenire che avevano sognato
Ma i sogni sono ancora sogni
E l'avvenire è ormai quasi passato.
Un giorno dopo l'altro
La vita se ne va
Domani sarà un giorno uguale a ieri.
La nave ha già lasciato il porto
E dalla riva sembra un punto lontano
Qualcuno anche questa sera
Torna deluso a casa piano piano.
Un giorno dopo l'altro
La vita se ne va
E la speranza ormai è un'abitudine”. (Luigi Tenco)
Bel modo per iniziare una predica, eppure non possiamo e non dobbiamo nascondercelo, oggi la speranza è merce rara. Il Covid con l’isolamento che ha portato con sé, il senso della fragilità della nostra vita e la crisi economica che avanza inesorabile, hanno reso più pesanti i giorni di molte persone. In realtà questo virus ha solo fatto esplodere una situazione già esistente.
Cos’è la speranza? Assomiglia all’ottimismo? Direi di no, perché l’ottimismo fa parte del patrimonio caratteriale naturale che permette di vedere il bicchiere mezzo pieno; il buono che esiste nelle situazioni che si vivono. La speranza invece è un dono che è legato alla fede; la speranza aiuta a vivere il presente facendo notare che c’è il futuro, perché Dio fedele è Signore della storia. L’ottimismo tiene in piedi, la speranza fa volare.
La speranza nasce dall’incontro con il Cristo. Sto parlando di un incontro personale, quasi fisico e, non semplicemente di una sentito dire. Solo quando si fa esperienza concreta e tangibile della Sua presenza fedele, nasce la consapevolezza di essere tra le Sue mani, succeda quel che succeda. In quel momento la vita diventa affrontabile, nonostante tutto. Abbiamo ancora bisogno di qualcuno che ci accompagni da Gesù, come ha fatto Pietro con sua suocera o coloro che conducevano i malati e gli indemoniati dal Signore. A volte noi non siamo capaci di muoverci da soli, perché non sappiamo più che Cristo è la risposta alle nostre attese o, perché oramai senza forze.
Per questo la solitudine e l’isolamento ai quali ci ha condotto la modernità, fanno parte del problema e non della soluzione. Crediamo di stare meglio, ma ci autocondanniamo.
Vi leggo la commovente preghiera del cardinal Newman:
Guidami
tu, luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, sii tu a
condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii tu
a condurmi! Sostieni i miei piedi vacillanti: io non chiedo di vedere
ciò che mi attende all'orizzonte, un passo solo mi sarà
sufficiente.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora, né ho
pregato che fossi tu a condurmi.
Amavo scegliere e scrutare il
mio cammino;
ma ora sii tu a condurmi! Amavo il giorno
abbagliante, e malgrado la paura, il mio cuore era schiavo
dell'orgoglio: non ricordare gli anni ormai passati. Così a lungo la
tua forza mi ha benedetto, e certo mi condurrà ancora, landa dopo
landa, palude dopo palude, oltre rupi e torrenti, finché la notte
scemerà; e con l'apparire del mattino rivedrò il sorriso di quei
volti angelici che da tanto tempo amo e per poco avevo perduto.
Molti pensano alla fede come a una garanzia contro la sofferenza e le fatiche della vita – non per niente abbiamo appena sentito che “gli portavano tutti i malati e gli indemoniati” (Mc 1,32) -; Dio ha il dovere di non farci soffrire, pensano alcuni. In realtà la fede non ci toglie dal cammino, a volte impervio delle strade della storia, ma ce le fa percorrere, sapendo che hanno un senso anche le fatiche, le cadute, gli ostacoli, il dolore. La speranza è questa consapevolezza e, nonostante tutto, fa andare avanti con passione e, a volte, con gioia.
Etty Hillesum la giovane olandese uccisa, ma rimasta libera in campo di concentramento, scrive:
“Mio
Dio, prendimi per mano, ti seguirò,
non farò troppa
resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno
addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo
migliore. Ma
concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace.
Non penserò più nella mia ingenuità, che un simile momento debba
durare in eterno, saprò anche accettare l'irrequietezza e la lotta.
Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi
toccherà stare al freddo purché
tu mi tenga per mano.
Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. E dovunque
mi troverò, io cercherò d'irraggiare un po' di quell'amore, di quel
vero amore per gli uomini che mi porto dentro”.
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